giovedì 14 maggio 2015

Bodnath, dove il buddhismo diventa umano



Altra tappa del tour di un anno fa in Nepal, per tenere nel cuore tutta la povera gente che sta vivendo un periodo difficilissimo nella valle di Kathmandu. Oggi un centro religioso straordinario...

 Si trova alla periferia di Kathmandu, Bodnath, la periferia meno attraente che si possa pensare, dove la gente s’affastella in immobili che non sono altro che casermoni, dove le botteghe s’allineano disordinate e affollate, dove lo smog si solidfica e i vigili paiono preposti a sciogliere nodi inestricabili. Ma è proprio qui che la storia ha voluto far cadere uno dei templi più straordinari del buddhismo di tradizione tibetana, li santuario di Bodnath appunto.
L’ingresso è quanto di più pacchiano si possa immaginare, peraltro in un viale caotico e rumoroso. Un arco colorato piuttosto banale, attorno a cui s’allungano una serie di minuscole botteghe che sono esemplificazione della pura simonia. Ma tant’è, tutti i luoghi di culto sono come delle carte moschicide che attirano ogni sorta di business. Anche qui. 

Ma da subito l’attenzione, tutta l’attenzione, è catturata dalla presenza invasiva e discreta dello stupa che s’erge al di sopra di una grande cupola bianca che bianca non è, perché punteggiata di piccioni scuri e perché tinteggiata qua e là con arabeschi dorati. È una presenza nel contempo, anche in questo caso, pacificante per i colori e le forme, ma inquietante per quegli occhi profondi e senza età che ti guardano attentamente dalla base della piramide centrale. La storia e l’arte qui si sono incrociate: lo stupa originario è stato costruito nel 600 d.C. allorché il re tibetano Songtsen Gampo si convertì al buddhismo. Poi, nel XIV secolo, lo stupa fu distrutto dai moghul. 

La ricostruzione ha portato ad ammirare le perfette dimensioni dell’edificio, che è completato da 108 sculture del Buddha, da 147 nicchie per le ruote della preghiera e da alcuni gompa, monasteri, che s’accalcano attorno allo stupa centrale mischiati alle botteghe e alle residenze, in un grande caos ordinatissimo. Questi centri spirituali propongono le loro ricette buddhiste, dai più rigidi e indissolubili legami monacali alle più blande meditazioni per occidentali in crisi di cristianesimo (o di ateismo). E tutti convivono e tutti fanno affari e tutti paiono bearsi coi loro momenti di soddisfazione manducato ria o commerciale, sotto lo sguardo vigile dei monaci che pregano col corpo, alzandosi e sdraiandosi a ritmo regolare, quasi a sfidare la divinità nella ricerca di un equilibrio soddisfacente. Così è del buddhismo, tutti cercano un equilibrio che non c’è, cercano di trovare quel punto che impedisce di tornare indietro e che apre a nuovi orizzonti sempre promessi.

Percorro il perimetro di base dello stupa, e poi due altri perimetri più stretti, avvicinandosi alla torre centrale, e ancora una volta mi trovo a cercare l’equilibrio: quando mi elevo, grazie ad angusti gradini, da un livello all’altro mi chiedo cosa mai possa trovarsi di nuovo e di più elevato salendo quelle scale. Si trova solo una nuova ricerca d’equilibrio.

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