venerdì 9 aprile 2010

Kirghizistan sotto sopra


Quest'estate ho fatto un viaggio nel Paese centrasiatico ora sconvolto da incidenti e disordini vari, con un cambio al potere traumatico. E' una regione povera di risorse ma geostrategicamente fondamentale negli equilibri della regione. Ecco quanto scrissi al mio arrivo.

All’aeroporto l’impatto è di quelli che colpiscono. Non tanto per gli aerei civili che sono stazionati nell’aerostazione, di compagnie quasi tutte sconosciute e decisamente di modelli obsoleti, quanto per cinque Hercules che stazionano nella pista, tutti grigi, tutti dell’Us Air Forse (in totale sono otto quelli qui di base, mi spiegheranno), e sullo sfondo ecco un altro bestione del cielo, un Antonov russo, colorato di bianco e d’azzurro, splendente. Anche questa è una guerra di immagini nell’infinita competizione tra russi e statunitensi. Dinanzi a Hercules e Antonov, tre o quattro aerei da trasporto d’evidente patente cinese, che scaricano merce. Ecco, forse, il riassunto della situazione politica kirghisa: la vicenda economica interna è quella che è, ancorata a modelli del passato e a feudi indistruttibili, mentre il governo cerca di tenersi buoni tutti, soprattutto le due grandi potenze mondiali tradizionali, forti della loro presenza culturale e soprattutto militare nell’Asia centrale. I cinesi, invece, non pretendono posizioni d’onore o di forza, ma solo di poter svolgere con libertà e senza troppi controlli la loro opera commerciale. Tra poco ci risveglieremo tutti cinesi!

Bishkek mi si annuncia forse non a caso della sorte. Una città aperta a tutti, certamente al commercio cinese ma non solo, con forti influenze russe, sia nell’architettura che nella tradizione geopolitica, e una potente attrattiva per la way of life americana, quella dei McDonald’s e dei polli fritti Ktc. L’Europa? C’è poco, anzi pochissimo, in qualche segnalazione di spettacolo, nei telefonini finlandesi e tedeschi (che però, a colpo sicuro, sono cloni provenienti dalla Cina) e sicuramente nelle buone intenzioni e nella cortesia degli ambasciatori.

È cresciuta lungo la grande arteria che taglia il Nord del Paese da Est a Ovest, Bishkek. La Chui è così il vialone dei palazzi del potere e di quelli del commercio, della cultura e della sicurezza. Un’eredità del tempo sovietico, che ha edificato a suo piacimento le capitali del suo impero senza tener conto più di tanto delle culture locali e delle tradizioni etniche. C’è la “Casa bianca” del potere – la gente non sa in realtà se sia la presidenza della repubblica o la sede del parlamento, e non fa nemmeno tanta distinzione tra le due, giusto per dare un’idea della coscienza poltica che vige in Kirghizistan e della realtà della gestione del potere – e c’è il Museo storico nazionale, il vanto primo di tutto un Paese, un grosso parallelepipedo di marmo e vetro che non promette nulla di buono.

Occupa un lato dell’immensa piazza Ala Too, dove sventola la bella bandiera nazionale kirghisa (che si fregia della stilizzazione della sommità interna di una jurta), costantemente custodita da due impettiti soldati in una gabbia di vetro (condizionata). Di fronte al museo, un improbabilissimo edificio di marmo e pietra, con due cupole del colore del bronzo che sin da lontano appaiono per quello che sono, cupole di latta. E in mezzo fontane spente (vengono accese solo verso il tramonto), nei cui bacini i monelli e le monelle della città (ma ho visto anche i loro genitori bagnarsi) si trastullano con massimo diletto. Sullo sfondo, costantemente presenti, anche se velate, le altissime montagne innevate dello Tien Shan, più particolarmente dell’Ala Too kirghiso


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