martedì 20 aprile 2010

Malta la si capisce ad Haġar Qim


Benedetto XVI ha visitato Malta in un clima reso difficile dallo scandalo degli abusi sessuali sui minori. Non ha potuto vedere le più antiche vestigia della civiltà maltese, che ancor oggi spiegano un piccolo-grande popolo. Visita del 2000.

Viaggio turbolento, l’isola di Malta è battuta dal vento a ottanta chilometri all’ora, come tanto spesso accade. Ma un bel sole mi accoglie, pur essendo a gennaio. È un crocevia nel Mediterraneo, l’arcipelago di Malta. Le scoperte archeologiche neolitiche dimostrano come già seimila anni fa prosperasse su queste isole una civiltà sviluppata, dedita soprattutto alla navigazione. Nel corso dei secoli, poi, la dominazione o l’influenza delle diverse civiltà mediterranee si sono fatte sentire, dai fenici ai greci, ai cartaginesi, ai romani, agli arabi e ai normanni. Dopo varie traversie, per due secoli e mezzo Malta ebbe la singolare reggenza dell’Ordine dei cavalieri di San Giovanni, più noti come Cavalieri di Malta. Napoleone in seguito conquistò le isole, finché l’arcipelago fu annesso dagli inglesi, nel 1814. L’ultimo scaglione dell’esercito britannico ha lasciato infine l’arcipelago solo nel 1979, dopo che esso aveva ottenuto l’indipendenza nel 1964.

Attirato dalla straordinaria antichità della civiltà maltese, mi avventuro alla ricerca di qualche sito archeologico maggiore, perché non si può dire di avere conosciuto questo paese perso nel Mediterraneo senza aver visitato almeno uno dei suoi più antichi siti. Comincio da Haġar Qim, nel sud dell’isola di Malta, a un paio di chilometri dal mare, in una posizione che dire panoramica è come dire nulla. Qui è stata scoperta la statuetta più nota del periodo Tarxien, che data tra il 3000 e il 2500 a.C.: una scultura senza testa ma dai lineamenti stranamente naturalistici per l’epoca, che rappresenta una donna dalle forme generose, chiamata non a caso la “Venere di Malta”. Qui è stato pure scoperto un altare quadriforme in pietra calcarea; in ogni lato, alla base, è scolpito un vaso con una pianta che cresce, affiancati da due pilastri sporgenti. E tutte le superfici appaiono decorate con semplici trapanature. La “Venere di Malta” e l’altare quadriforme, che si ammirano al museo di Rabat, lasciano col fiato sospeso, se si capisce da quanto tempo siano stati modellati. E non possono essere stati scolpiti da gente senza una solida cultura!

È un lungo camminamento che porta poi ad Haġar Qim, un lastricato battuto dal sole e dal vento, che trasmette al visitatore il senso dell’arcano, della natura che da sempre regola la vita dell’uomo, anche in questo angolo del Mediterraneo. Più le pietre del sito si avvicinano, affastellate in modo più o meno credibile, più o meno plausibile, più ho l’impressione di capire come l’uomo di cinquemila anni fa non fosse uno zotico primitivo, quanto una persona che, pur senza aver conosciuto il Cristo, né l’ebraismo, era sicuramente profondamente religioso, attirato dalle cose di lassù, che per lei era sicuramente sistemato a sud, oltre il mare, nel sole.
Ma ancor più impressionante è il camminamento lungo quasi un chilometro, interamente sistemato a lunghi gradini di pietra, che da Haġar Qim porta a Mnajdra. Impressionante, perché durante tutto il sentiero mantengo dinanzi ai miei passi il complesso templare, sullo sfondo del mare blu come un cielo, e del cielo blu come un mare, interrotto solo dal profilo cilindrico dell’isoletta di Filfla. Vedo un mucchio di pietre più o meno ordinate, ma in realtà colgo l’antropologica esigenza di comunione con la natura e con le forze che la regolano, in una prospettiva assolutamente armoniosa, olistica direi. Anche qui si respira Dio.

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