mercoledì 7 aprile 2010

Caucaso mai pacificato


Due giorni fa altri attentati mortali in Inguscezia, dopo le stragi delle ragazze-kamikaze nella metropolitana di Mosca. La regione cis-caucasica rimane un grande punto interrogativo. Estratti da un'intervista col prof. Sergei Markedonov, grande caucasista russo, che ho pubblicato sul mio libro "Sull'ampio confine. Storie di cristiani nel Caucaso" (Città Nuova 2010).

In uno dei miei passaggi a Mosca, ho appuntamento col prof. Sergei Markedonov, responsabile di Relazioni interetniche all’Istituto per le analisi politiche e militari di Mosca. Non lesina le parole, in un carissimo e rumoroso bar della capitale russa: una valanga di citazioni, fatti, opinioni e ipotesi. Il mio interlocutore – sulla cinquantina atletica – non ha timore di criticare il «regime di Putin», di stigmatizzare i comportamenti corrotti e corruttori di tanti presidenti locali, di definire come «pura verità» gli articoli di aspra denuncia della compianta Politkovskaja. È di ritorno dal Nagorno-Karabakh.

Nel fluire dei suoi discorsi emergono chiare linee di pensiero: «Non si può parlare del Caucaso in questo momento – esordisce – senza parlare delle masse di immigrati degli ultimi quindici anni. Ci sono ancora Stati sospesi nel vuoto, non riconosciuti da nessuno, con le frontiere in perenne discussione. I russi hanno scelto lo status quo nella regione, sperando che da esso possa nascere qualche soluzione più o meno definitiva. Ma sotto cenere e macerie le bragia sono accese, e basta un nonnulla perché l’incendio divampi».

Secondo Markedonov, la teoria di Huntington sullo scontro di civiltà riceverebbe una sonora smentita nel Caucaso, dove non solo le differenze etniche sono enormi, ma anche quelle religiose: sufismo e salafismo, ad esempio, hanno ben poco in comune. E la violenza nella regione non avrebbe solo matrici islamiche, perché talvolta sarebbero certi cristiani a commettere atti di violenza esagerata. «Prenda la strage di Beslan – mi spiega –: i musulmani ceceni e ingusci hanno colpito una città in prevalenza composta da musulmani, sapendo che nell’intera Ossezia del Nord sono solo il 10 per cento della popolazione. E tanti musulmani ceceni odiano i musulmani ingusci, mentre i cristiani ingusci parteggiano per i loro connazionali musulmani contro i cristiani ossetini! E il Daghestan delle 35 etnie? Sono al 90 per cento musulmani, con un 8 per cento di armeni e un 2 per cento di russi cristiano-ortodossi; ma tra musulmani le lotte tribali ed etniche sono all’ordine del giorno».

La frammentazione aumenta oppure avvengono delle ricomposizioni, magari anche solo per interesse? «Direi che non siamo ancora in presenza di una ricomposizione – mi risponde –. L’Islam cerca di fare da collante, ma con scarsi risultati. Un elemento che sembra tuttavia avvicinare un po’ tutte le etnie è la sete di giustizia. Potrà apparirle un elemento leggero, ma le assicuro che la gente non ne può più di funerali. Per i giovani, invece, il collante sta nei soldi da guadagnare ora e subito. Ma non si accorgono che, per poter stabilizzare la ricchezza al di là dei successi effimeri, c’è bisogno di stabilità politica. Giustizia e soldi sembrano così essere i nuovi elementi unificanti per la gente delle città e delle campagne; ma lo sono di meno per quella della montagna cecena e inguscia, che in maggioranza vorrebbe una repubblica islamica, seppur all’interno della Federazione russa. Una pia illusione, perché la costituzione russa non permetterà mai una tale stranezza istituzionale».

Qualche studioso, forse con una dose non piccola di idealismo, ipotizza la creazione di un unico “mercato comune caucasico”, che vada dall’Azerbaijan e dall’Armenia fino ai territori di Stavropol e Krasnodar… «Non dovrebbe esserci alternativa a questa prospettiva – acconsente il caucasista –. Ma sono pessimista sulla possibilità di raggiungere tale obiettivo. L’emergenza umanitaria è ancora il problema principale, così come il rispetto dei diritti umani. Non si può parlare di status di una regione se la gente non ha di che mangiare e non è sicura. Per raggiungere questi due obiettivi serviranno decenni, in cui si dovrà compiere un enorme sforzo per portare il sistema educativo a diffondere tra bambini e giovani le idee di rispetto dell’altro, di tolleranza reciproca. Due settimane fa in Inguscezia è stata uccisa una maestra cristiana russa, da 35 anni nella regione, assieme a due suoi studenti, perché non era né musulmana né inguscia. E al suo funerale una bomba ha provocato otto feriti».

Il regime di Putin e Medvedev come vede la situazione in Caucaso? «Dopo aver per anni dichiarato che la situazione era disastrosa e che l’Islam fondamentalista sfidava l’Occidente intero in quella regione – propaganda pura –, ora l’amministrazione Putin sostiene al contrario che tutto è sotto controllo. Certamente Kadyrov, il presidente-bandito ceceno, con le sue milizie ha messo a tacere tanti gruppi violenti. Ma lui e Putin sono dipendenti l’uno dall’altro: questi afferma che ha fatto tutto lui e che in Cecenia è lui a comandare; ma il primo è cosciente quanto Putin sappia che senza di lui la Cecenia rischia di piombare di nuovo nel caos. Per cui pretende privilegi crescenti. E non si sa dove finirà». E il popolo russo che cosa pensa della Cecenia? «I russi – conclude il prof. Markedonov – non amano i caucasici e li tollerano sempre meno. A Mosca, in particolare, il razzismo cresce ogni giorno di più: ogni settimana almeno un caucasico viene ammazzato da bande di giovani ubriachi, razzisti e nazisti».

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