giovedì 17 febbraio 2011

I due caffè


Viaggio in Terra Santa/4
Gerusalemme è una città dove il paradosso è di casa.

Ho preso due caffè. Il primo alla Porta di Damasco, in un bugigattolo senza imposte, esposto al freddo e al vento, discretamente sporco, seduto ad un tavolino di plastica macchiato e sbilenco. Tre ragazzi mi si sono avvicinati cercando di indovinare la mia nazionalità, per poi sciorinare con orgoglio le loro conoscenze di italiano. Solo dopo cinque minuti sono riuscito ad ordinare il mio caffè, che mi è stato servito altri cinque minuti più tardi, accompagnato da pasticcini mielosi che non avevo ordinato. Il caffè, alla turca, profumava di cardamomo. L’ho sorbito attorniato dai tre ragazzi, interessatissimi a tutto quanto mi riguardava. Ci siamo salutati con gran pacche sulle spalle e promesse di nuovi incontri.
Il secondo caffè l’ho sorbito in un elegantissimo locale della galleria commerciale costruita sotto la Porta di Jaffa. Tutto pulitissimo, inservienti impeccabili, ogni azione veniva controllata dai contatori digitali. Un espresso buono ma ordinariamente europeo, col cioccolatino di ordinanza e un biscottino secco alle nocciole francamente stopposo. Mi sono seduto a un tavolino sulla terrazza scaldata dalle fiamme del gas. C’era un silenzio insolito, mentre una sottile musica jazzy si spandeva nell’aria, come un ansiolitico. Mi sono portato il caffè sul vassoio d’ordinanza, servitomi dopo un minuto tondo tondo, cominciando a scrivere queste note. Uscendo ho salutato il cameriere, mi ha risposto con un cenno delle labbra.
Come fanno a coabitare nella stessa città due popoli dai rituali così diversi? Solo la presenza dello straniero, dell’avventore in questo caso, può tenerli assieme. Serve il terzo incomodo.

Il bacio di Gerusalemme: vento, oro e miele.

Quanti soldi arrivano qui in Israele! La solidarietà ebraica è straordinaria. Mi dice un rabbi che qui è più importante la qualità dei progetti che la loro quantificazione monetaria: i soldi, se il progetto è buono, arrivano comunque. Quel che si dice “potenza dell’idea”: Israele è comunque un’idea straordinaria.

Vento del deserto, che sbatte contro palpebre e denti. Che leviga la pelle come la pietra. A Gerusalemme ci sono volti che paiono di granito e pietre che sembrano velluto.

Gli ebrei li riconosci quasi sempre. Talvolta immediatamente, altre volte dopo qualche istante. La cultura ebraica raggiunge l’intimo dell’uomo e risale fin sulla pelle e sulla psiche, dettando comportamenti e atteggiamenti. Essere ebrei non è né una vocazione né una condanna: è semplicemente un’ontologia che sposa una fenomenologia.

Qui a Gerusalemme nulla è scontato, ma nello stesso tempo tutto vive di ritualità ripetute all’infinito e mai modificate nei secoli. Ripeterle è il solo modo per diventarne cittadini. Quando si deroga dalle ritualità, delle due l’una: o si viene espulsi naturalmente dalla poliedrica comunità gerosolimitana, oppure si diventa una nuova tradizione. (Questo secondo caso è piuttosto raro).

L’angoscia del kitsch arriva ovunque, e soppianta facilmente i tradizionali canoni di bellezza. Perché il kitsch grida, mentre la tradizione sussurra; il primo impone, la seconda evoca; il kitsch gioca sulla quantità e la rapidità, la tradizione sulla qualità e la sicurezza. Anche a Gerusalemme il kitsch riesce ad aver ragione dei millenni (per il momento).

Entro per la Porta di Damasco e scorgo un volto inusuale. Un cinese. Una volta era un’eccezione incontrarne uno cinese nelle nostre contrade. Ora non più. I cinesi sono ovunque, e ancor più il made in China. Ma paiono ancora assolutamente stranieri, ovunque. Mentre gli europei in qualche modo all’estero sanno inculturarsi, mimetizzarsi nelle pieghe delle città, immedesimarsi nei luoghi visitati. Ma non durerà a lungo: i cinesi sapranno trovare la loro patria nel mondo..

1 commento:

Anonimo ha detto...

No he ido a Jerusalén, pero a través de la comparación de los 2 cafés me sentí ahí, también como una extranjera pero nativa a la vez. Definitivamente me gusta como escribes.