giovedì 25 marzo 2010

Thailandia in subbuglio

Sullo sfondo di sacche di povertà ancora estese, la Thailandia si ritrova in una grave situazione di conflittualità politica, che contrappone il governo e il re all'ex premier Takshim, magnate dei media e politico rampante, ora in esilio. Reportage da una bidonville di Bangkok (2006).

A circa mezz’ora dalla mia abitazione nel centro moderno della metropoli di Bangkok, c’è il vecchio porto, ormai abbandonato da ogni forma di attracco commerciale o turistico. È una landa desolata d’umanità, Klong Toey. La spiaggia è ridotta ad una sottile striscia sporca e maleodorante: qui non si ci si bagna per una lunghezza di almeno cinquanta chilometri di costa attorno alla capitale. Purtroppo solo da qualche anno nel Paese si sta sviluppando una certa sensibilità ecologica.

È qui che – attraversati dei binari che corrono sotto due grandi viadotti ovviamente accompagnati da due teorie di baracche –, incontro Prateep Unsongtham Hata (per tutti solo Prateep), una donna gentile e sorridente ma estremamente volitiva, senatrice nella passata legislatura, nata da queste parti. Nata cioè nello slum di 60 mila persone che occupa questa vasta area ex-portuale, ambita da molti imprenditori ma difesa strenuamente dalla piccola-grande donna, una buddhista.

Nel 1978 volevano distruggere tutto, senza indennizzare gli abitanti della baraccopoli; vi furono gravi incidenti, sommosse, morti e feriti. Fu allora che la donna decise di impegnarsi per la sua gente. Nacque la Duang Prateep Foundation. Quattro i semplici principi della sua azione: risolvere i problemi con la gente; fare vita comunitaria; sviluppare le opportunità economiche; puntare sull’educazione. Da quel momento la qualità della vita a Klong Toey è migliorata, e di molto. Il problema antico più grave resta quello degli incendi, mentre il problema nuovo più inquietante è quello della droga, e di conseguenza quello dell’Aids.

Quello che Prateep ha sviluppato è una sorta di welfare privato, una necessaria sussidiarietà, non per decreto legge ma per scelta personale. In occasione del recente tsunami, poi, che in Thailandia ha fatto 5 mila morti e centinaia di migliaia di senzatetto, è iniziata una nuova tappa della fondazione – concentrata soprattutto a Ban Nam Khem, tra le zone maggiormente colpite dal maremoto –, mettendo a frutto soprattutto la vastissima esperienza avuta con i bambini econ le scuole elementari. Non per niente il simbolo della fondazione racchiude il segno della lingua thai che indica proprio l’infanzia. Oggi un centinaio di persone sono impiegate direttamente dalla fondazione, mentre sono circa 2500 i volontari che svolgono la loro azione nei diversi campi seguiti dalla Duang Prateep Foundation.

Prateep mi sta dinanzi sempre sorridente e orgogliosa in questi uffici semplici ed essenziali, dove non si sa minimamente cosa sia il lusso ma dove le cose funzionano egregiamente. La donna è vestita elegantemente, un leggero trucco la rende una bella sessantenne fiera della sua condizione di social worker, di donna che ha saputo ridare una dignità alle persone del “suo” slum.

Non è più senatrice, signora Prateep? «No, perché il mandato è scaduto, e dopo sei anni non si può essere rieletti. Ma non mi dispiace, perché negli ultimi mesi la situazione è peggiorata, politicamente parlando. Mi hanno chiesto di far parte del governo in carica, ma ho declinato l’invito».

La Thailandia sembra sospesa perennemente tra democrazia e dittatura… «Il nosto è un Paese con una grande confusione, perché il regime democratico non è veramente tale. Chi ha il potere quest’oggi, potrà come e quando riportare la democrazia che oggi però non c’è. Sono stati 24 i colpi di stato dall’introduzione del suffragio universale: perché? Forse perché siamo troppo attenti alle personalità dei singoli politici che alla legge. Dobbiamo appoggiare il ritorno alla democrazia, per quanto imperfetta essa sia».

Cosa mi dice dello sviluppo economico tailandese? «Il potere del consumismo colpisce tutta l’umanità, ormai. Certamente nello sviluppo economico c’è anche una buona dose di elementi positivi, indiscutibilmente, nel campo della salute, del lavoro, della lotta alle arretratezze. Ma la gente è ridotta troppo spesso a robot, e pensa solo a far soldi. E questo provoca gravi disequilibri sociali».

Qual è la qualità principale dei thailandesi? «La pazienza. Senza di essa sarebbe saltato tutto da parecchio tempo».

Qual è stata la sua esperienza politica, in sintesi? «Ho costatato che quando abbiamo una buona posizione in politica, possiamo usare tale ruolo per aiutare la povera gente. Ma ho pure costatato che tanti senatori e deputati usano la propria poszione solo per il proprio tornaconto. E questo è triste».

La povertà è diminuita o aumentata in Thailandia? «Penso che si debba ridefinire la categoria di “poveri”. Non basta più il solo criterio della ricchezza, dei beni posseduti. Nella povertà è la sofferenza che conta, i pericoli che si corrono, la tranquillità, l’infelicità insomma. Sì, dal punto di vista prettamente materiale ci sono stati progressi, ma nel complesso la gente è molto più infelice di prima».

Lo stato dell’infanzia? «Diminuisce la tutela dei genitori, e il sistema educativo non è una delle priorità dei governanti. Gli insegnanti sono pagati male e non hnno futuro, e quindi la gente di valore abbandona la carriera di insegnate. Così divenatno insegnanti coloro che non sanno nulla. Più ci si allontana da Bangkok e peggio è».

Qual è la situazione dell’istituto familiare? «La situazione della prostituzione infantile sta diminuendo, perché tanto è stato fatto, anche per una questione di immagine del Paese all’estero. Ma i genitori si occupano sempre meno dei figli, sono impegnati tutto il giorno a guadagnare, e lasciano i loro bimbi soli. C’è un degrado della qualità della vita, anche familiare. Nojn si pensa al futuro, ma solo al presente consumista».

Quale bilancio fa della sua fondazione, a 28 anni dalla sua istituzione? «In realtà la mia attività era cominciata dieci anni prima… È posa cosa quanto ho fatto, perché quello che ho ricevuto è stato immensamente più grande. Ho solo cercato di sviluppare i diritti della gente. Ciò mi ha fatto sentire che noi siamo un’organizzazione non sostenuta dai potenti, ma solo dai piccoli. Solo i poveri possono veramente aiutare i poveri».

Dove sta andando il suo lavoro? «Vorrei far sì che i potenti si occupino dei poveri. E nel contempo vorrei spiegare ai potenti le ragioni dei poveri».

Cambierebbe qualcosa, se potesse tornare indietro? «Non ho mai avuto desideri particolari, non volevo mai fare grandi cose. Ho lottato coi governi, ho studiato i problemi, ho lavorato per i poveri, ma non ho mai fatto piani. Spero di aver fatto tutto bene».

Che importanza ha la religione per lei e per la sua azione? «Ha importanza nella vita nostra il buddhismo. Ma anche nelle altre religioni c’è un insieme di principi egualmente positivi. Mia madre è stata un esempio di buon buddhismo per me; il contenitore di riso di casa nostra, che pure non era certo ricca, si svuotava continuamente, perché mia madre lo dava ai più poveri. “Perché lo fai?”, le chiedevo. E lei, candidamente, mi rispondeva: “Siamo poveri, ma loro lo sono di più. Bisogna aiutare gli altri, come gli altri ci aiuterebbero se stessimo peggio”. Mio padre lavorava, faceva cesti di vimini, era cinese. Lavorava anche la notte per darci il pane. È stato un esempio di onestà e pazienza, come lo sono tutti i thailandesi».

Prateep deve lasciarmi, non senza avermi dato qualche regalo, magliette confezionate dalle donne povere del quartiere. Poi deve ricevere un tedesco benefattore della fondazione. Mi lascia come se non volesse farlo. È questa Prateep. Mi lascia con Minittaya Promnrochuianboon, responsabile delle attività che riguardano giovani, Aids e droga. «Contro l’Aids cerchiamo di educare i giovani, di renderli edotti dei gravissimi rischi che corrono con comportanemnti poco igienici dal punto di vista sessuale. Siamo stati i primi a parlare di questi problemi alla gente, prima non se ne parlava minimamente, fino a vent’anni fa, perché i tailandesi sono molto pudichi. Ora cerchiamo di far sì che siano dei giovani a parlare ai giovani e a convincerli. Curiamo nel quartiere 122 malati di Aids, ma non sappiamo in realtà quanti sono i sieropositivi, perché non c’è né controllo né statistiche adeguate. Ipotizziamo che siano almeno un migliaio du 60 mila, tra l’uno e il tre per cento della popolazione in ogni caso. Miglioramenti non se ne vedono molti, perché la droga si sviluppa fortemente e, soprattutto, stanno cambiando i costumi morali, per cui i rapporti prematrimoniali ora sono frequentissimi… E non vengono prese precauzion, perché se uno le prende viene considerato un poco di buono… È una battaglia molto dura, ma dobbiamo vincerla. Altrimenti questo quartiere rischia di scomparire».

Visito lo slum. C’è acqua corrente – una delle conquiste di Prateep –, ma non potabile. Tanta gente è in casa sdraiata a guardare la tivù, senza lavoro. Piccole rivendite di cibi fritti. Grida di bambini. Qua e là i centri della fondazione, per i bambini, per i giovani e per gli anziani. Odori dappertutto, d’ogni tipo, e pensare che ora fa fresco…

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