lunedì 9 luglio 2012

San Vigilio di Marebbe, la bellezza da conservare

Bassa Val Badia/1 - Alla scoperta di una valle dolomitica che sfida le leggi della banalità. A cominciare dal paese alle pendici del Plan de Corones.

Val Badia, terra ladina, luogo d’orchi e di fate, piccole leggende e grande storia, di santi (molti) e dannati (pochi). Capito alla messa domenicale che le campane son già silenziose, la chiesa è piena e i fedeli sono costretti a seguire la celebrazione dal camposanto che circonda la chiesa, un giardino per lacrimanti, devoti e filosofi. Tombe curatissime, nessuna esclusa. Leggo nomi che svelano un popolo: Palfrader, Castlunger o Kastulunger o ancora Costalunga, Complojer-Rimcać, Kost, Obijes, Ties, Pescoller dal Jablen… Un fiore fresco non manca mai su queste tombe.
Mi ritrovo anch’io in questo piccolo camposanto che attornia la chiesa parrocchiale, decorata a motivi barocchi teutonici ad opera dei bavaresi Franz Singer e Mathhäus Günther che rende chiaro anche ciò che è oscuro. Bello anche ciò che è sgradevole o dozzinale alla vista… Lo sguardo non può che spaziare sui rilievi che attorniano la valle, che la creano, a 360 gradi. In dissolvenza – due, tre, quattro livelli – s’ergono monti verdi e dolci, ricoperti di prati pettinati e di boschi spazzolati, punteggiati qua e là di masi bruni e bianchi, luoghi di lavoro più che altro, ma spesso anche di dimora. Un incanto, qualcuno dice un presepio naturale. Uno spicchio di paradiso terrestre, afferma un secondo valligiano, perché sì, in Paradiso, quello celeste, ci saranno proprio questi prati e questi boschi, questi abitati così umani e così incantevoli, almeno dall’esterno.
Mi diverto a percorrere con lo sguardo le creste dei rilievi, ad uno ad uno, e poi passando dall’una all’altra là dove s’incrociano creando geometrie che paiono perfette. Poi le vette rocciose, il Piz de Peres, Munt de Senes, Croda del becco, eleganti e nel contempo ardite, atte ad incutere timore e riverenza, anch’esse opera di una fantasia che supera ogni umana facoltà, proprio per dare all’uomo la forza di superasi e di sfidare l’impossibile. Ancora, lo sguardo passa senza soluzione di continuità all’abitato che circonda la chiesa, legno e intonaco decorato, candido candido (non per niente, oltre questi rilievi, si trova il borgo di San Candido!) e decorato da tocchi vivaci a carattere essenzialmente floreale.
Lo sguardo dai masi, dai prati, dalle rocce, dalle decorazioni floreali scende regolarmente alle tombe e ai fiori che le decorano, per poi risalire e ridiscendere e risalire ancora. Tutto passa: l’uomo e la sua vita più rapidamente dei masi, e i masi più rapidamente delle chiese, e le chiese più dei boschi, e i boschi più delle rocce. Come conservare questo paradiso? Come renderlo eterno, un paradiso eterno e non un effimero anticipo di paradiso? Tra cent’anni le bellezze silvane e rurali saranno eliminate da un immenso comprensorio di risalite meccaniche? Oppure i masi collasseranno perché nessuno riterrà utile e profittevole continuare a falciare i prati attorno a San Vigilio? O, chissà, tutta la cittadina sarà trasformata in un immenso ClubMed, un resort di lusso ipetecnologizzato? Difficile pensare il futuro di questo squarcio di paradiso (o di Paradiso, con la maiuscola?). Mi consola solamente sapere – credere, piuttosto – che i Kost, i Ties, i Kastlunger si stanno occupando della faccenda dal loro paradiso reale. Che è qui, che è altrove, che è lassù e quaggiù. A San Vigilio di Marebbe.

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