venerdì 13 luglio 2012

Pederü, quando il mondo finisce e rinasce


Bassa Val Badia/5 - Una valle profonda dodici chilometri e la roccia rossa

Da tanto tempo ne avevo sentito parlare, ma mai m’era capitato di venirci. Perché è uno di quei luoghi in cui ci si va solo per andarci, solo perché si ha la ferma volontà di andarci. Pederü giace – sì, mi piace proprio usare questo verbo di stasi – in fondo ad una valle che non è altro che la continuazione del Mareo, del Marebbe, ma che si diverte a cambiare nome: Pici Tréi, poi Rudo e infine Tamersc. E da lì, da Pederù, porta al Parco naturale Fanes-Senes-Braies, s’aprono almeno altre tre valli, in una dinamica topografica che lascia sbalorditi. E che insegna come luoghi che paiono delle impasse rivelano avere vie d’uscita senza fine, inaspettate, certamente frutto della più creativa delle menti.
A Pederü ci si arriva da San Vigilio di Marebbe – per i ladini Al Plan de Mareo –, percorrendo una lunga fettuccia d’asfalto lunga ben dodici chilometri: un festival di pareti a picco, d’un fondovalle verde come pochi, di brevi boschi che paiono ciuffi di esuberanza adolescenziale. Si fa in tempo ad abituarsi all’habitat della valle – pardon, delle tre valli in fila –, al punto che l’improvvisa apertura del Plan de Pederü pare un’intrusione non concordata. Ma la bellezza della tri-valle non la si può apprezzare che oltre Pederü, dal Valun de Fanes che sale sopra il rifugio che occupa il breve piano. Perché dall’alto s’apprezzano le pareti a picco di dolomia, che mutano non solo per l’angolo di visuale, ma anche per i capricci meteorologici: rosse, grigie, nere, rosa, viola, salmone e turchese! Pareti interrotte da ghiaioni candidi e così verticali da mettere in dubbio la legge di gravità. E spesso le pareti si fregiano di creste da moicani, teorie di abeti che da lontano paiono nere come la pece, o la notte piuttosto. E poi la sorpresa, in coppa a tutto, un fraticello d’un verde così tenero che pare attendere solo la fata della valle come un morbido giaciglio. Lo stesso colore del prato attorno al rifugio, quasi che un cataclisma ne avesse interrotto la continuità, facendo emergere le paurose pareti di dolomia.
Ci sarebbero da scrivere pagine e pagine sul “valun”: l’iniziale aspra colata di pietra bianca, dai riflessi verdini, di tutte le dimensioni immaginabili, l’esplodere del rosso della dolomia sulle pareti grigie e lisce che attorniano la valle, l’apparire inatteso di creste pettinate di pini, lo specchio turchese del Lé Piciodel, le strane geometrie sui Banch Dal Sé, argentei ghirigori simil-maya o simil-aztechi, umani-più-che-umani. Pederü chiude e apre. Come uno scrigno di gioie… e dolori.

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