Una cena di "rottura del digiuno" organizzata dall'Istituto Tevere a Roma. Un'occasione di dialogo e approfondimento della necessità per l'uomo d'oggi di qualcosa di molto impopolare: la rinuncia. In questo caso al cibo. Il saluto portato a nome di "Città nuova" alla serata romana.
Per un puro caso, nel momento dell'apertura del Ramadan mi trovavo in Uzbekistan, a Samarcanda. Visitavo un luogo di culto islamico nella periferia della città, Khodja Abdi Darun, un luogo straordinario di meditazione e convivialità: una grande vasta ottagonale, quattro platani, una moschea maiolicata, un portico di legno antico, le cellette d'una madrasa. Mi sono intrattenuto con l'imam Sultan Murad, seduto sui tappeti pulitissimi che parevano decorare un salotto conviviale. Sono rimasto più di un'ora a conversare sulla vita e sulla morte, sulla Terra e sul Cielo, su tutto quanto è spirituale e umano e divino. Anche sul digiuno.
«Non basta il pane per far vivere l'uomo», mi ha accolto così. E mi ha parlato di grande e piccolo jihad, e mi ha cercato dio spiegare che col Ramadan impartiamo a conoscere e moderare i nostri appetiti fondamentali: fame e desiderio sessuale. «Così impariamo anche a disciplinare le nostre relazioni con gli altri», gli ho risposto. «E con Dio», ha precisato l'imam. «Il diguno è l'ascesi delle nostre necessità impellenti», ho aggiunto. «E' pure educazione dei nostri desideri più umani», ha precisato. E ha concluso così: «Col digiuno il credente dice anche con il corpo la sua fede in Dio».
Il mondo occidentale sta dimenticando il valore dell'ascesi e del digiuno, nell'opulenza del tutto e subito. Si vanno facendo strada, comunque, altre forme di digiuno, originali: il digiuno da tv, da telefonino, da Internet. Tutti tentativi encomiabili, tentativi di riscoperta dell'ascesi. Ma bisogna ritrovare il vero digiuno, perché l'oralità è quanto di più ancestrale esista nell'uomo. LA sua disciplina è un'enormericchezza per tutto il suo agire, il suo pensare, il suo pregare. Non possiamo che ringraziare perciò i nostri fratelli musulmani, perché ci ricordano quanto quest'ascesi di popolo sia costruttiva.
La vicinanza del dialogo, come quello di stasera, ci aiuterà anche nell'opera di integrazione, che tanti ostacoli ancora incontra, come testimoniano innumerevoli episodi, come l'ultimo, grave, di Pordenone, con l'uccisione di Sanaa. E ci aiuterà a capire che la violenza verso l'altro chiama sempre altra violenza verso l'altro. Mentre quella "dolce violenza" verso di sé, come il digiuno, può invece portare alla non-violenza verso l'altro. Soprattutto se il digiuno è comune, è comunitario, collettivo: in questo modo si riescono a limitare e canalizzare quelle forme di irascibilità che è propria di chi non si mette a dieta. Così la fraternità potrà farsi spazio tra gli uomini, e la reciprocità dell'amore porterà anche alla soluzione dei problemi più gravi che ci troviamo ad affrontare.
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