mercoledì 9 settembre 2009

La Venezia del festival rappresentata dal Civetta


Metafora della politica e della realtà rappresentata al Festival del cinema è un quadretto di Herri Met de Bles, al Museo Correz.

Sale ducali delle Procuratie vecchie, nel museo Correz. Seguendo improbabili itinerari artistici, un quadro mi inchioda: le Tentazioni di Sant’Antonio, opera di un allievo dell’incommensurabile Bosch, forse Herri Met de Bles, detto il Civetta. Tonalità d’inferno coronano la figura ieratica del santo abate assillato dai simboli schizoidi della tentazione: corpi femminei ignudi e parati all’amore, corone di potere e di gloria, orizzonti sconfinati e cangianti, diavoli che vìolano tutti gli orifizi umani, occhi che vagano, difformi uccelli armaturati, fiamme tremebonde, fauni perversi, fantasmi scomposti. E ancora. Brandisce un crocifisso, il santo eremita. Come una spada, protesa nel vuoto dell’irreale reso reale proprio dal figlio dell’uomo condannato a pendere da una croce. La mostruosità della tentazione umana è proporzionale a quella inaudita del Dio sospeso tra cielo e terra. I chiodi scavano la carne, aguzzi come le tentazioni. Crocifisso dalla tentazione. Solo l’identificazione al crocifisso può risolvere il circolo vizioso, infernale, di tentazione e perfezione. La scomparsa della prima non contempla ma accompagna la semplice accettazione dell’irraggiungibile perfezione. E allora anche la carne ignuda riveste i panni dell’abbandonato, evidenziando la sua finitezza al confine con la grazia, la sua pesanteur che muta in gloria. A Venezia, naturellement!

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