Si sta risvegliando il conflitto tra la Georgia di Saakashvili e la Russia di Putin-Medvedev. Oggetto della diatriba sono le acque territoriali abkhaze o georgiane nel Mar Nero.
Nulla di particolarmente grave, ancora, anche perché la flotta georgiana, poche navi, era stata quasi completamente distrutta nel conflitto dell'agosto 2008, e quella abkhaza è costituita da qualche motoscafo su cui sono state montate delle mitragliatrici. Guerre tra poveri? Sembrerebbe, se non fosse che nel Mar Nero si sta aprendo un ulteriore fronte di attrito, dovuto alla annunciata chiusura da parte dell'Ucraina della base navale russa di Sebastopol, in Crimea (che come si sa appartiene a Kiev). La Russia mantiene un tratto di costa sul Mar Nero, quella dove è situata tra le altre città Soci, città scelta per i giochi olimpici invernali (!?!) del 2014, che in realtà avverranno sulle montagne del Caucaso russo e abkhazo. Ma quel tratto di costa non sembra tra i più adatti ad ospitare una base militare russa, che taluni vorrebbero vedere proprio in Abkhazia. Riporto qualche nota sulla mia visita, nell'agosto 2008, al porto di Poti qualche giorno dopo il raid dei russi.
Poti, 23 agosto 2008. Le vedette colate a picco
Le pinete sul mare sono incantevoli, finché non vengono deturpate dallo sfruttamento edilizio della regione costiera. Uno sfruttamento che in alcuni centri, come qui a Kobuleti, raggiunge proporzioni scandalose. Alberghi pretenziosi, vuoti di questi tempi, s’alternano a cadaveri di colonie estive d’epoca sovietica, orrori di rovine di non si sa che tipo di edifici, casette tutte nuove pittate di colori assurdi: arancio, lilla, giallo canarino, verde pisello, con archi e colonne e porticati perfettamente inutili e kitsch. Ecco una Disneyland in formato georgiano, orribile. Ureki: c’è ottima sabbia alla magnetite, per cui qui convenivano i bambini rachitici dell’Unione sovietica. Supsa: attraversiamo l’oleodotto Baku-Tbilisi Ceyan, oggetto di tanti appetiti russi e occidentali: nessuna traccia di bombardamenti o di danni agli impianti che, assai giganteschi, costeggiano la strada costiera. Maltauka: una stupenda pineta devastata dal cemento della speculazione. Cemento che si sgretola due anni dopo essere stato eretto! Poti, finalmente. Della città portuale di Poti in questi giorni ne abbiamo sentito parlare in modo quasi esagerato, come se l’avvenire della Georgia e dell’intera umanità dipendessero dalla sorte di questo porto che, va detto, ha una grande importanza sia per la Georgia che per i suoi due compagni d’avventura transaucasica, Armenia e Azerbaijan. Avevamo visto ripetute le immagini delle banchine del porto percorse dagli enormi tank russi, mentre una piccola imbarcazione colava a picco. Il resto era fantasia, e su Poti di immaginazione ne è stata usata molto, soprattutto dai giornalisti georgiani.
Preparati da questo battage, non crediamo ai nostri occhi avvicinandoci alla città senza incontrare nessun posto di blocco, nessuna traccia di militari, né di un campo né dell’altro. C’è solo un gran deserto, una spettrale vacuità del traffico automobilistico. Tutto è calmo, placido, come il mare, come l’afa, come le mucche che pascolano sul bordo della strada, o che si riposano sul caldo asfalto, incuranti di ogni passaggio d’automobili: la fanno da padrone. Arriviamo all’orrido monumento al “marinaio sconosciuto”, stilema bronzeo su cui incombono tre enormi mani-onde di gesso. Stupefacente. E così giungiamo al porto commerciale. I guardiani non hanno nessuna difficoltà a mostrarci i danni dell’intervento russo; anzi, lo fanno quasi potessero in questo modo influenzare la mia penna nel descrivere in modo orrido i russi. In realtà, debbo dirlo, i danni alla struttura commerciale è quasi nullo, tanto che, come mi confessano gli stessi guardiani, non si è mai smesso di lavorare. Anche i vagoni ferroviari qui non hanno mai cessato di raccogliere la merce. Certo, ora sono bloccati lungo i binari senza meta possibile… In realtà gli scontri a fuoco si sono limitati a cinque minuti di bombardamento aereo, con dodici ordigni scoppiati, qualche camion distrutto, qualche ferito e, forse, un paio di morti nella locale stazione elettrica. Il resto è tutto da verificare… Poi i russi si sono limitati a perlustrare le banchine e la stazione, anche se troppo a lungo per il parere della comunità internazionale.
Grazie ad un lungo periplo attraverso i campi che separano il porto commerciale da quello militare, incrociamo solo cani e gabbiani, mentre un’impressionante quantità di edifici paiono colpiti da una guerra immane: sono solo vittime delle guerre precedenti e dell’incuria. Alcuni sono ancora abitati, come dimostrano le interminabili corde con la biancheria stesa ad asciugare. Finché giungiamo alla postazione della guardia costiera, accolti a braccia aperte dalle guardie costiere, una decina di uomini, che dicono di aver visto finora solo qualche giornalista georgiano, ma nessuno straniero (mi vengono in mente certi articoli e certe trasmissioni evidentemente false…). Qui i danni si vedono: sono stati messi fuori uso gli impianti radar, sul molo i segni dei cingolati sono evidenti e nei bacini cinque navi sono state affondate. Navi, o per meglio dire tre motoscafi e due vedette della guardia costiera. I magazzini sono stati saccheggiati, qualche mezzo stradale è stato reso inutilizzabile. Ci sono anche altri scafi affondati, ma sembrano piuttosto delle carcasse del mare arrugginite che dei natanti! Lo smarrimento delle guardie è totale, così come la loro incapacità di reagire: non toccano nulla, fumano e bevono. Raccolgo un bossolo russo per terra, nessuno aveva pensato di metterlo da parte. Me lo porto via come souvenir. Senza vedere un solo militare, russo o georgiano che sia, ci avviamo verso Senaki, dove ha sede la più grande base militare georgiana, che sappiamo occupata dai russi. Solo al ponte d’accesso a Poti, da Nord, c’è una postazione: stanno pure scavando delle trincee, forse staranno a lungo da queste parti. Gli occupanti, comunque, si sono fatti discreti. Si sono ben mimetizzati per non spaventare la gente e non essere visti dai giornalisti come il sottoscritto. Ma sotto l’occhio vigile del grande fratello, attento come mai a non irritare i georgiani e a non scatenare inutili reazioni, nello stesso tempo i russi stanno irridendo i georgiani, con una presenza-assenza che alla fine può irritare e creare un infinito malessere. Risultato? Le strade sono vuote, la gente è come tramortita e non ne vuole sapere, in fondo, di tornare alla normalità. Preferisce rintanarsi nelle proprie case, guardare la tivù e leccarsi le ferite. È più facile far così che rimboccarsi le maniche e far qualcosa di utile per la collettività. Mentre il deserto umano si è impossessato della Georgia.
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