E' morto a Riad (Arabia Saudita) per un attacco di cuore. Era considerata la massima autorità musulmana sunnita al mondo, gran sceicco della più autorevole istituzione culturale musulmana al mondo, l'Università Al Azhar del Cairo. Avevo incontrato lo sceicco nel 2005. Una persona in fondo mite, anche se non gli mancava il coraggio, soprattutto quando prendeva posizioni "moderate" rispetto al radicalismo di certe tendenze musulmane, egiziane in particolare. Il mondo musulmano, e anche quello cristiano, ne rimpiangerà la presenza. Ecco quello che mi aveva detto in una intervista del 2005, pubblicata sul libro "L'Islam che non fa paura" (San Paolo).
A proposito della globalizzazione: «Per noi musulmani il problema principale posto dalla globalizzazione è quello dell’ignoranza. Chi raggiunge una conoscenza sufficiente non trova difficoltà nella vita. Chi è sano, chi capisce, chi conosce la fede e le realtà della sua vita, non trova mai ostacoli insormontabili. L’uomo che non sa, invece, pensa male e, ad esempio, arriva a credere che non tutti sono fratelli su questa terra, e che l’umanità deve essere uniformizzata». Chi è allora il prossimo, l’altro per un “musulmano globalizzato”? «Colui che amo e che rispetto. Colui che è sano, che ama la giustizia, che ama agire con fedeltà, che ama la verità, che ama le virtù, che non fa del male agli altri, che non provoca disastri e rovine, che non pratica il terrorismo per distruggere o per ammazzare la gente. L’altro è l’uomo che ama le virtù, che non ama le cose negative. Questo è il prossimo amato, che sia governante o governato, maschio o femmina, chiunque».
A proposito dell'immigrazione musulmana nei Paesi occidentali: «Io raccomando sempre – mi risponde –, quando un egiziano arriva in Italia, in Francia, in Usa o in Inghilterra, di essere un buon esempio di musulmano per tutti, nella verità, nell’onestà, nell’osservare le leggi del paese dove è emigrato. L’immigrato deve essere un esempio per la cittadinanza, deve fare il suo dovere di cittadino, non allontanandosi perciò dalla legge del paese di cui è ospite». È allora auspicabile che si instauri un’etica globale? Lo sceicco risponde solo indirettamente alla domanda: «Un’etica globale è presente sin da quando Dio ha creato il mondo, e continuerà ad esistere fino alla fine dell’esistenza dell’uomo sulla terra. Sin dall’antichità la giustizia è una virtù e l’ingiustizia è un vizio, e ciò non cambia nel tempo e nello spazio: la giustizia rimarrà giustizia fino alla fine del mondo. E così l’onestà, la cooperazione, la benevolenza, i rapporti positivi tra la gente…».
A proposito della donna: «La donna – mi dice – è nostra madre, nostra sorella, nostra figlia, nostra moglie. È tutto nella nostra vita», mi risponde in certo modo disarmante e con lo sguardo lucido. Da una settimana ha perso la sua amata consorte.
A proposito del dialogo interreligioso: «Ci si riunisce spesso con i fratelli del Vaticano. Le nostre porte sono sempre aperte per loro. E capiamo sempre più che siamo d’accordo su cose fondamentali, come le virtù: aiutare i più deboli, i poveri, i miseri, gli ammalati. Nel dialogo coloro che hanno la fede si aiutano a propagare giustizia, fedeltà e cooperazione. Noi preferiamo questo dialogo alle accuse di infedeltà. Certo, non discutiamo sulla dottrina, perché tale dialogo fa più male che bene: tu non puoi convertirmi al cristianesimo, e io non posso convertirti all’Islam, io offro quello che ho, tu offri quello che hai. Il giudizio finale spetta a Dio». Lo sceicco Tantawi mi dice che questo è anche il pensiero di Giovanni Paolo II. Quando ne parla, pare ricordare l’amico ricevuto proprio nello studio dell’intervista: «Ci siamo seduti su queste due sedie, abbiamo riso insieme, conversando con calore e rispetto. Quando si è allontanato, gli ho raccomandato di curare la sua salute, perché il papa è importante per tutti, anche per noi musulmani. L’impressione più profonda avuta incontrandolo è stata… la fraternità. Il papa è un uomo di fraternità; ho avuto la certezza che siamo tutti figli di Adamo».
A proposito delle religioni abramitiche: «La diversità dei pensieri e degli obiettivi sono gli ostacoli e nello stesso tempo le sfide del dialogo. C’è chi occupa la terra di un altro, e c’è chi prende possesso dei beni dell’altro, malgrado le religioni di Abramo spingano alla cooperazione tra gli uomini. Lì sta la religione, quella che Dio ha fatto scendere sulla Terra tramite i profeti, quella delle tre fedi di Abramo. Chi ha uno spirito religioso combatte contro ingiustizia, fanatismo e terrorismo, e collabora al bene».
A proposito della fraternità: «La fratellanza universale! Tutte le religioni celesti, e quindi anche l’Islam, hanno sempre detto che tutti abbiamo un padre e una madre comuni. Che siamo in Asia, Europa, Africa, Australia, America, Egitto o Italia, tutti siamo fratelli nell’umanità, anche se le religioni sono diverse. Siamo in Egitto, un paese dove vivono musulmani e cristiani. Il seguace di Muhammad va alla moschea per pregare e il cristiano alla chiesa. Quando escono, si salutano. In ogni palazzo dell’Egitto si trovano abitanti delle due religioni. Quasi tutti, perciò, cooperano: talvolta un musulmano e un cristiano hanno addirittura un affare comune. Dunque la diversità nella fede non impedisce tale cooperazione vera, la prosperità e il bene».
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