Grossa sconfitta del partito del presidente alle elezioni amministrative di ieri. In questi momenti non è male per lo sconfitto pensare a quei luoghi dove la perdita alla lunga è diventata un guadagno. Aigues Mortes, profondo Sud della Francia, visita nell'agosto 1998.
1241: dal nulla di una palude salmastra un re santo erige un monumento di forza guerriera, all’entrata della mitica Camargue. Il re di Francia, Luigi VIII, aveva in effetti intrapreso da un decennio una politica espansionistica della corona di Francia verso il sud, nei ricchi feudi del duca di Tolosa, con la forza e con i matrimoni. Il figlio completerà l’opera, creando un nuovo porto sul Mediterraneo, e proteggendolo con una città dal carattere altero, imprendibile, superba nella pietra e nelle forme, quasi una sfida alla rivolta catara che si organizza proprio in quegli anni. Aigues Mortes, acque morte, come nelle paludi.
1241: dal nulla di una palude salmastra un re santo erige un monumento di forza guerriera, all’entrata della mitica Camargue. Il re di Francia, Luigi VIII, aveva in effetti intrapreso da un decennio una politica espansionistica della corona di Francia verso il sud, nei ricchi feudi del duca di Tolosa, con la forza e con i matrimoni. Il figlio completerà l’opera, creando un nuovo porto sul Mediterraneo, e proteggendolo con una città dal carattere altero, imprendibile, superba nella pietra e nelle forme, quasi una sfida alla rivolta catara che si organizza proprio in quegli anni. Aigues Mortes, acque morte, come nelle paludi.
Luigi IX, più noto come il re santo, dà il via all’impresa nel 1241, e tre anni più tardi il più è fatto, proprio quando arriva la notizia della presa di Gerusalemme da parte dei mercenari turchi al soldo del sultano di Damasco. Il papa lancia un appello per una crociata, e naturalmente Luigi IX ne ottiene il comando. L’esercito si riunirà proprio ad Aigues Mortes, da dove salperà nell’agosto del 1248.
Si respira ancora aria di crociata girovagando nelle calde serate d’agosto su e giù per le strade perpendicolari della città rettangolare, dominata dalle mura perfettamente conservate. Anche se non le vedi, sia pure solo per qualche istante, la loro presenza si fa sentire nella pietra, nei respiri di un selciato che sembra riflettere il lume delle torce delle sentinelle che montano la guardia. E stemmi in pietra, e massicci anelli di ferro arrugginiti, e lastricati incisi da scalpelli latini. Nelle stradine aleggiano odori e profumi forti, mediterranei, solari. Carne di toro arrostita alla legna di eucalipto, filetti di calamari ai peperoni, bouillabaisse (terrina di pesce mediterraneo profumata allo zafferano, con salsa all’aglio su fette di pane abbrustolito) e ogni altro ben di Dio acquatico. Il tutto innaffiato col Listel, il vinello “grigio” della terra di Camargue, dall’inconfondibile carattere che sposa terra e mare.
Inutile è poi resistere alla tentazione di una passeggiata sulle mura, sui rempart, nel calore di mezzogiorno. La Camargue va ammirata col sole a picco, con la fronte madida di sudore per l’ascesa negli stretti cunicoli a pioli, cullati dal canto stantio delle cicale, e così apprezzare la frescura dell’ombra delle torri e, più tardi, il pastis al bar nella sola piazza alberata della città, attorno al monumento del re santo. Fuori c’è la distesa di acqua e sale; dentro ci sono i tetti, quasi un tessuto ininterrotto, ingentilito dai merli delle mura di fronte.
Poi la Torre di Costanza, inconfondibile, un cilindro massiccio inquietante nella sua nuda geometricità. È sormontato da un cilindro agile e slanciato, il faro. Le poche fenditure nella costruzione accentuano il sentimento di minaccia che naturalmente ispira. Qui si consumò uno dei drammi più conosciuti della guerra di religione che oppose nel XVII e nel XVIII secolo cattolici e protestanti; in seguito all’editto di Nantes, qui furono rinchiuse e perirono diverse decine di seguaci di Lutero. Con emozione si ricorda ancor oggi Marie Durant, figlia di un pastore, che rimase segregata per trentotto anni. Sarebbe sua la scritta incisa sul pavimento all’entrata: résister.
Le mura vanno poi ammirate di sera, dall’esterno questa volta, accompagnati dal canto stridente dei grilli e dai rumori inquietanti della fauna della Camargue, selvaggia già due passi fuori dalla porta dei mulini o da quella della regina. Il vento caldo anche nel buio della notte s’infrange contro le pietre che proteggono cappelle e confrerie e cortili, abituate da secoli alla resistenza. Ma una resistenza in qualche modo gioiosa, come la gente che abita la città.
Viene un pensiero sibillino, in contrasto col carattere guerriero della città: hortus conclusus deve essere la comunità della gente, un giardino protetto. Gli abitanti di Aigues Morte, ormai respirano pace e serenità.
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