mercoledì 27 gennaio 2010

La Shoah nel Caucaso

Ricorre oggi la "Giornata della memoria". Per onorarla, riporto quanto scrissi a Vladikavkaz, capitale dell'Ossezia del Nord, dopo la visita alla piccola sinagoga locale. Una vicenda che ho inserito nel libro "Sull'ampio confine. Storie di cristiani nel Caucaso".


Gliel’avevamo promesso, al rappresentante della comunità ebraica, che avremmo visitato la sua sinagoga. E così avviene dopo l’incontro col ministro della cultura. Così, in un’ala di un bel palazzo liberty in stato cadente, ma che conserva una sua vezzosa bellezza, veniamo introdotti in uno di quei mondi paralleli che ho cominciato a scoprire in queste terre del Caucaso settentrionale, dove etnie e religioni convivono e si scontrano con frequenza fuori dal comune.

Dapprima, nel cortiletto, rendiamo omaggio ad un memoriale che ha una sua dignità dedicato agli ebrei di Vladikavkaz caduti per la Russia durante la Seconda guerra mondiale. Il prof. Mark Petruscianski va fiero del memoriale, per la cui realizzazione si è battuto con determinazione per anni. Ci racconta che la comunità ebraica conta circa 1200 membri, quanti erano prima della rivoluzione comunista, ma con la differenza che all’epoca erano ebrei “puri”, al 100 per cento, mentre ora pochissimi sono quelli sopravvissuti “puri” alla marea della parità etnica e religiosa sovietica, ai matrimoni misti, alle partenze verso Israele, che ammontano a circa 800. La comunità ha offerto alla città medici, deputati, musicisti, scienziati.

Qui non c’è rabbino, ma i locali sono diventati sinagoga da quando il rabbino di Firenze, in Italia, ha consegnato loro dei rotoli della Legge assai antichi e consacrati all’uopo. La piccola sala di preghiera potrà ospitare una ventina di uomini e una decine di donne, separati da un velo bianco. Alle pareti e nelle bacheche si scorgono libri, gagliardetti del Maccabi di Tel Aviv, un Talmud tradotto in russo, orologi con le lettere ebree e le lancette che avanzano in senso antiorario, doni di altre comunità, argenti senza valore…

«Qui non c’è mai stato antisemitismo – mi dice il dott. Mark Petruscianski –, non ci sono stati pogrom. Abbiamo un buon rapporto con tutti, come testimoniano (purtroppo) i tanti matrimoni misti della comunità. Tra l’altro non abbiamo nemmeno la possibilità di cibo e bevande kasher, per cui siamo anche in questo uguali agli altri cittadini di Vladikavkaz». E comincia una stupefacente e sovietissima perorazione della causa dell’Ossezia del Nord e del suo presidente, con un servilismo che potrebbe sembrare disgustoso se non fosse che il mio interlocutore è “formattato” sul registro della ricerca assoluta della “conformazione” al volere del potere.

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