Impressioni di una visita ad Hammamet, dell'ottobre 2007. La medina, il suq, l'azzurro del mare e quello delle imposte delle finestre...
Hammamet, un nome che per noi italiani è ormai indissolubilmente legato a colui che più d’ogni altro incarnò la stagione delle follie di tangentopoli: il Bettino Craxi nazionale che qui visse in contumacia – anche se lo statista preferiva parlare di esilio –, morì e fu sepolto. Pace all’anima sua, mentre il suo corpo riposa addossato alle mura della medina, sovrastato dal tricolore, nel piccolo cimitero cristiano che gode della musica delle onde del mare.
Ma Hammamet è anche altro, fortunatamente, visto che la città dà il suo nome al vasto golfo che scende fino a Monastir, la regione con le più belle e più bianche spiagge di Tunisia, tra le più incantevoli del Mediterraneo. Una città di mare, sabbia e pietra. Da qualsiasi lato la si prenda appare tale. Ma presa da terra Hammamet si svela miseramente come una qualsiasi città maghrebina un po’ trascurata, talvolta pretenziosa, talaltra assolutamente kitsch, nel disordine urbanistico tipico delle città dell’Africa settentrionale. Dal mare, poi, le fortificazioni della medina appaiono solo all’ultimo istante nella striscia verde di palmizi, ficus e olivi secolari, senza poter essere gustata dalla vista, così come dagli altri quattro sensi.
Hammamet va invece presa proprio dal lato del suo massimo fascino turistico, cioè dalla spiaggia. A piedi, rigorosamente a piedi, e da lontano, un’ora almeno di cammino. Perché Hammamet va guadagnata, respirata, ammirata, desiderata e infine sedotta. A un’ora di cammino, nell’arco tracciato dal golfo, la medina si confonde anche qui con la linea verde di separazione tra cielo e mare. Può apparire giusto un grumo ocra sulla linea continua della vegetazione. Il mare è allora più importante, e così il cielo, che nella mezza stagione assumono l’identica tonalità, quando il sole s’incaponisce ad avvolgere cose e persone. Ma anche quando il grigiore delle nubi si specchia e si tuffa nelle acque mosse del golfo.
Cammina cammina. Ben presto gli stabilimenti balneari scompaiono, perché la spiaggia si restringe; o, meglio, perché la sabbia sul bordo del mare è stata inglobata nei giardini lussureggianti delle ville dei potenti, tunisini e stranieri, famiglia Craxi in testa. I gradini che dalla spiaggia introducono a questi paradisi protetti da muri sono dipinti di bianco: quello immacolato della calce appena distesa sui mattoni; quello butterato dall’umidità e screpolato dal calore; e quello ormai confuso col color della sabbia e dei mattoni di sabbia. Gradini mai squadrati, mai a piombo, con angoli e spigoli arrotondati dalla calce misericordiosa, che li muta così in accoglienti ricettacoli della sabbia sospesa nell’aria e catturata dal fascino di quelle forme aggraziate.
È d’uopo passeggiare di mattina, presto, quando la frescura si trasmette dalla sabbia ancora compatta fino ai neuroni in cerca di lucidità e serenità, e lo sguardo può ancora spaziare leggero prima di affogare nel vapore pesante della calura. Il golfo allora pare un abbraccio della terra al mare, il tentativo fallito di contenerlo in uno slancio di filosofia universale che sfocia invece in accettata soteriologia. Pare un unico, sottilissimo gradino che dice alle acque di fermarsi, con grazia ferma, per accettare la loro liquidità definitiva, sopportare il limite della solidità della terra e dei mortali.
Un tè alla menta, seduto al caffè della rotonda, mentre i pescatori e le loro barche vengono assediati dai mattinieri tunisini in cerca di prelibatezze ittiche e allorché la brezza dell’Ovest scuote le acque del golfo, è un approccio quanto mai esistenziale ed efficace ad Hammamet. La medina, il suq, le imposte azzurre, le donne in nero, i venditori arrapati, la tomba di Bettino, le imposte dei bagni turchi dipinte d’impossibili colori, le bandierine tunisine e la facciotta leggermente inclinata di Ben Alì che festeggia i vent’anni di permanenza al potere, i gatti magri e spelacchiati, il mercante di fiori dipinti che sembra disegnato da Klee, le buche nelle strade, l’alcol vietato nei bar… Tutto ciò è secondario.
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