Pochi hanno saputo, tutti presi come siamo dalla tragedia di Haiti, che a Manila si è consumata un'altra tragedia. A Baseco un incendio ha distrutto un'intera baraccopoli, lasciando senza tetto circa quattromila persone. Riporto le note della visita, nel marzo 2006, ad Intramuros, al di là della baraccopoli...
Fa una certa tenerezza visitare Intramuros, cioè il vecchio centro della città di Manila, delimitato da una cinta muraria assai scura per l’umidità (ed ora circondata da un esclusivo campo da golf, che ha preso il posto del vasto fossato-canale che la circondava), a protezione di qualche edificio in stato di semi-abbandono, almeno apparentemente: prigioni (quella dove è stato detenuto l’eroe nazionale José Rizal), l’abitazione (di José Rizal), il monumento (di José Rizal), il museo (di José Rizal), il diaporama (di José Rizal)… Non c’è nulla da ridere né da sorridere, perché i filippini qui trovano le loro radici - anche quelle coloniali -, le loro origini religiose e quelle politiche.
Da una terrazza si guarda verso il fiume Pasig, che trasporta immondizie d’ogni genere assieme ad isolotti di vegetazione aggrovigliata, portati chissà da dove. Oltre il fiume si scorgono quartieri di baracche, tirati su dai pescatori e dai marinai, e il quartiere cinese, che i filippini non hanno mai voluto integrare completamene nella città.
La cattedrale ospita un matrimonio, fiori a profusione, musiche solenni ed occidentali, vestiti di gran classe (almeno in apparenza). La facciata è architettonicamente modesta, ma qualcosa di accattivante ce l’ha comunque, una civetteria coloniale, direi. Più in là sorge invece la più antica chiesa di Manila, Sant’Agostino, che ospita anch’essa un matrimonio, ma meno sfarzoso, più modesto, coi mendicanti ch sono ammessi fin sul sagrato. La facciata, pur scurita e imbolsita dall’umidità, ha una sua forte dignità, giocata tra l’austerità e l’allegria. Eredità indubbiamente spagnole.
Accanto alla chiesa, poi, hanno restaurato alcune vecchie abitazioni coloniali, della stessa epoca, trasformate in musei e boutique e ristoranti. In un magnifico cortile si svolge un terzo matrimonio, celebrato dal sacerdote, anzi dalla sacerdotessa, di una qualche setta evangelica, tra una giovanissima e splendida filippina e un maturo uomo occidentale, forse un tedesco, di certo oltre la sessantina. I filippini sono semplici e talvolta ingenui, se non leggeri, per loro stessa ammissione. Salgo gli scoscesi e scivolosi gradini che portano vers una serie di terrazzine che danno sul cortile dove si sta celebrando il matrimonio, un ricco matrimonio a giudicare dall’abbigliamento della gente (la sposa è vestita da Christian Dior). Gradini consunti e mal restaurati, si vede lontano mille miglia dai materiali diversi usati. Ma arrivati in cima alle scale, ecco che si apre la vista della città, incostante, intrigante a modo suo, bella secondo chi l’ama, in ogni caso piena di contraddizioni, baracche e grattacieli.
Poi il lungomare, altri monumenti di Rizal, l’eroe pacifico e forte, l’oceano, la madre delle 7100 isole che compongono l’arcipelago delel Filippine.
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