venerdì 6 novembre 2009

Al mercato di Rawalpindi colpito da un kamikaze


I talebani, o chi per loro, hanno colpito anche al Rajah Bazar di Rawalpindi. Vi ero stato nel gennaio del 2005.

Poco o nulla di interessante offre Rawalpindi, antica città più volte distrutta e più volte ricostruita. È la gente che invece è più che interessante. Così non può mancare un breve giro al Rajah Bazar di Rawalpindi, un concentrato di umanità come pochi. Noto che la gente è particolarmente benevolente nei confronti miei, nonostante sia uno dei pochissimi stranieri ad avventurarmi nei dedali delle viuzze del bazar. Tanta gente, vedendo la mia macchina fotografica, chiede che gli scatti una foto; altri, su mia richiesta, accettano. Uno solo rifiuta, ma con una cortesia ed un sorriso che sembrano venire da un altro mondo. Noto che le donne sono vestite nei modi più diversi: democraticamente si fiancheggiano burqua “talebani”, donne col volto coperto, altre con un semplice velo, e coloro che non portano nulla sulla testa.

Poi un salto alla grande e impressionante moschea di Shah Faisal, donata dal governo dell’Arabia Saudita al Pakistan, e costruita su progetto di un architetto turco dal 1976 al 1986. La facciata, imponente e leggera, è tutta in marmo bianco di Carrara. L’interno ospita 10 mila fedeli, che con i 50 mila e più dell’esterno rendono tale moschea la più imponente del paese. Quattro minareti, alti 88 metri, paiono missili lanciati verso il cielo: e tali sembra dipingerli un detto popolare della capitale pakistana, costruita solo negli anni Cinquanta, come vetrina per il neonato paese. Così assomiglia negli spazi a Brasilia e a New Delhi, città costruite più o meno nello stesso periodo, e tutte e tre prive di una vera anima. Gli ampi spazi dei viali e la quadratura della pianta della città sembrano così lontani dalla mentalità pakistana che ci si chiede come mai si possano costruire obbrobri del genere. Ma questa è un’altra storia.

2 commenti:

Emanuele di Alba ha detto...

Grazie Michele per questi blog. Sono Emanuele mio padre ha lavoratoa Cittanuova. Forse lo conosci. Io mi trovo ad Alba dove vivo con mia moglie e talvolta capito a Roma per andarlo a trovare. Mi piacerebbe incontrarti. In questi giorni che non lavorerò causa malattia leggerò attentamente i tuoi post. Li trovo bellissimi perchè parli una lingua universale senza muri o steccati. I tuoi non sono solo reportage ma hanno una luce particolare di vita vissuta con lo spirito di chi umilmente cerca di farsi uno. Non so ma ci tenevo tanto a dirtelo. Grazie tantissime. Vedrai altri commenti.
Proprio sul Pakistan, l'anno scorso ci sono venuti a trovare tre sacerdoti maltesi di cui uno ha vissuto a Lahore e ci hanno raccontato la loro vita.Così cerco di capire non dalle cronache giornalistiche ma magri da chi ha vissuto da dentro.

Emanuele
manuplasmati@tiscali.it

Anonimo ha detto...

Salve, mi chiamo vicky e sono del rawalpindi,anche se vivo in Italia da 17 anni, ho girato tutto il Pakistan due anni fa e dopo 15 anni e devo dire che e' un paese fantastico e non lo dico da pakistano e la sua forza come dice l'articolo sta proprio nella gente che sembra di un mondo, molto diverso dal occidente e spero solo che lo rimanga tale.