venerdì 20 novembre 2009

Algeria, l'orgoglio di una nazione


L'Algeria si è qualificata per i mondiali dopo una violenta battaglia sportiva, legale e politica, nello spareggio in Sudan. Orgoglio nazionale che ho trovato per le vie della casbah di Algeri, nel 2005.

Non potevo partire da Algeri senza aver visitato quella casbah che tanto ha colpito l’immaginario collettivo degli europei, soprattutto dopo il film di Pontecorvo, checché se ne dica ancor oggi una delle pagine più eloquenti sulla genesi e sulla fine del terrorismo di matrice araba e musulmana. La prendo dall’alto, la casbah, non per evitare le faticose ascensioni per le infinite ed irregolari scalinate che rigano l’abitato come grafi del gigante dell’urbanistica, quanto per semplici motivi di sicurezza: mi hanno sconsigliato di avventurarmi in quell’abitato senza prendere un minimo di precauzioni: niente borse, niente macchine fotografiche, niente abiti ricercati… La discesa – peraltro priva di ostacoli, nonostante alcuni sguardi non proprio amichevoli, pochissimi d’altronde rispetto a quelli schietti e amichevoli – si rivela una corsa in un tempo che sembra essersi immobilizzato e rinchiuso nella notte dello sviluppo economico. Dalle finestre calano tappeti e tendaggi e tessuti, per la necessaria aerazione dopo notti di familiare promiscuità – anche una dozzina di persone per stanza –, incrementata e dilatata dai soldi che non ci sono e dalla politica che fa sparire i proventi del petrolio.

La casbah è l’accavallarsi di commerci e mercimoni, illeciti in massima parte, sdoganati dalla corruzione del regime e dalla miseria della quotidianità. È il trionfo dell’esposizione della pelosità rituale maschile, e dell’occultamento di quella erotica femminile, finché durerà l’ignobile sfruttamento dell’ignoranza da parte di tanti tristi figuri nelle moschee. La casbah è soprattutto l’aggrovigliarsi dei pensieri e delle preghiere d’un popolo alla ricerca di sicurezze che non trova, infiammandosi in sentimenti di rivolta ed in istinti di sottomissione, rapidi ad esaurirsi come una corsa a precipizio giù per la rue Arbadji, o lenti a scoppiare come l’ascesa vertiginosa della rue Rabah.

La casbah non è un quartiere, ma un sondaggio politico e sociale alla vigilia di un’elezione bulgara. L’influenza dello “spirito della casbah” va ben al di là della Piazza dei martiri o della Grand Poste; si estende ai quartieri che più hanno mantenuto il loro carattere popolare, coniugato in questi ultimi decenni con un fondamentalismo primario privo di costrutto religioso. Così è, ad esempio, nei quartieri alla base della collina del Makam Ech-Chahid, il memoriale dei martiri, Hamma e Belcour. Sono due quartieri adiacenti alla Piazza del primo maggio, che nel 1991 aveva visto l’uscita a vita pubblica del Fis, con scioperi e sit-in, finché non intervenne l’esercito coi carri armati, mettendo così a fuoco quelle polveri che spegneranno solo sette-otto anni più tardi. Era l’epoca in cui scorrazzavano per le strade di Algeri auto strombazzanti occupate da barbuti che inalberavano i vessilli del Fis e il libro del Corano aperto in segno di sfida.

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