martedì 17 novembre 2009

La Serbia orfana del patriarca Pavle


La Serbia piange il suo patriarca ortodosso, morto alla veneranda età di 95 anni. Era salito alle cronache internazionali nel 1999, in occasione del bombardamento di Belgrado da parte dei missili Usa. Avevo percorso la Serbia in quell'occasione, da Nord a Sud. Cronaca di una breve sosta in un monastero ortodosso del Sud.

Tornando da Niš l’autostrada è interrotta di nuovo. Usciamo a un tiro di schioppo dal Monastero di Ravanica, eretto dal principe Lazzaro, il più popolare monarca della Serbia medievale, che trovò la morte - guarda caso - nella terribile battaglia di Kosovo Polje, che aprì la strada ai musulmani. È sepolto qui. La travagliatissima storia del monastero è il riassunto dell’esperienza dell’intero popolo serbo.

Nell’oscuro e affrescato nartece, un monaco intona tetre preghiere contro Satana. Due monache, prostrate a terra, sottolineano le invocazioni con stridule voci d’oltretomba. All’uscita l’uomo in nero, giovane ma austero, ci intrattiene: «Ormai i veri serbi si contano sulle dita della mano: o ci convertiamo, o dovremo ancora patire. Sono tutti ormai nelle mani di Satana: in Kosovo rubano, uccidono, stuprano, non rispettano i comandamenti». Cita l’Apocalisse a piene mani: «Dobbiamo tornare alla purezza di Cristo, convertirci, ritrovare la fede. La gente ha sofferto, ma invece di tornare a Dio cerca di dimenticare». Se ne va, rifiutando una foto. Avrei voluto mostrarvi quegli occhi profondi e terribili. Come quelli di un’icona.

Ma di giusti in Serbia ce ne sono ancora, li puoi incontrare ovunque. Come quella coppia di Musla che, non toccata direttamente dalla guerra, si accorge però che tanti hanno i figli al fronte. Che fare? Il conforto e piccoli aiuti materiali. Poi nasce l’idea di legarsi con una catena di preghiere: mezz’ora l’uno, 48 persone, per tutto il periodo del conflitto. Sarà un caso, ma nessuno di quei coscritti viene ucciso. E quando uno di loro tornava, veniva portato in chiesa: la vita era una grazia.

O ancora Jovanka, quella donna che ha una famiglia di quattro figli da portare avanti. Il marito è un reduce di Vukovar: quattro mesi trascorsi in inferno - «non potevo, sparare sui ragazzini croati» -, finché il comandante non li istigò a disertare: «Non è una guerra questa, è un orrore», si giustificò. Esilio e disoccupazione. Ora lavora tutto il giorno, ma senza sicurezze. Lei invece ha conservato il suo posto alle assicurazioni, 150 marchi. Parla a valanga, forse per la tensione accumulata, discorsi apparentemente sconnessi, ma legati da un filo d’oro: «Ogni rumore ci fa paura, ogni sguardo ci sembra un assassinio. Ma non dobbiamo più pensarci, dobbiamo andare avanti con la fede in Dio. Prego molto. Non guardo i nuovi ricchi, quelli che fanno i soldi con la guerra. Ogni uomo ha la sua coscienza, anche questi speculatori, anche gli americani. Ci accontentiamo di quello che la provvidenza ci dà. Non voglio odiare nessuno, anche se vogliono farmi credere che si debba farlo per restare serbi». Fare quattro figli tra due guerre è un atto di coraggio. E di giustizia.

3 commenti:

балканска девојка ha detto...

ciao Pope, una preghiera per noi da lassu !

Anonimo ha detto...

t's such a tickety-boo site. fanciful, acutely intriguing!!!

-------

[url=http://oponymozgowe.pl]Opony[/url]
[url=http://pozycjonowanie.lagata.pl]Pozycjonowanie[/url]

[url=http://www.szperamy.pl/zdrowie,i,uroda/opony,s,7015/]opony[/url]

Anonimo ha detto...

Wow all I can say is that you are a great writer! Where can I contact you if I want to hire you?