venerdì 13 novembre 2009

Obama, ricorda il cielo dei giapponesi!


Il presidente Usa è in Giappone: un confronto difficile. Per quanto possa sembrare assurdo, in un Paese tecnologizzato come quello del Sol Levante, viene il desiderio di ricordare al presidente che è impossibile capire i giapponesi senza assecondare la loro sete di assoluto (ordinato). Visita al tempio Meiji Jingu, nella capitale Tokyo.

Meiji Jingu è il santuario scintoista dedicato all’anima dell’imperatore Meiji e alla sua consorte, l’imperatrice Shoken, morti rispettivamente nel 1912 e nel 1914. Erano considerati dal popolo dei trionfi di virtù, per cui vollero dedicar loro questo tempio imponente e straordinariamente ben concepito. Nel 1920 fu concluso. Tre aree principali lo compongono: Naien, il recinto interno, che racchiude i templi; Gaien, un vasto parco che ospita esposizioni, ristoranti e centri culturali; il Meiji Memorial Hall. 120 mila alberi compongono il parco, di 365 specie diverse, in un tripudio di toalità diverse di verde, su 700 mila metri quadrati in pieno centro della città, un vero lusso vista la fame di spazi di cui soffre la città di Tokyo.

Si entra attraverso un’immenso portale scintoista, il Cancello di Torii, e si scende dolcemente per ampi viali che fendono la foresta dalle mille sfumature, popolata da uccelli di mille specie diverse, che rallegrano il deambulare con la loro dolce musica. Lunghe file di scolaretti in divisa, col capo protetto da cappellini candidi che brillano allorché i raggi del soe li colpiscono, filtrando tra la vegetazione, accompagnano coi loro gridolini contenuti l’avvicinamento al Tempio principale, ricostruito nel 1960, dopo essere stato bruciato nel corso della nefasta Seconda guerra mondiale.

È una caratteristica dei templi giapponesi, quella di essere ricostruiti più volte nei secoli – sono tutti di legno, o quasi, e perciò stesso fragili –, esattamente uguali al progetto iniziale. Mi dicono che lo stile è quello Nagarezukuri, e che il legno usato è soprattutto quello di cipresso giapponese.
Nel grande piazzale antistante il tempio, il sole bacia il suolo con violenza, obbligando alla ricerca di una messa a fuoco dello sguardo più riposante. E riposante è il ciuffo di preghiere – di legno o di carta – che contrappuntano gli spazi, ordinate e curate, annodate o appese, segno di una fede che fa dell’ordine la propria essenza.

Tutto nel cosmo è ordinato, tutto è scandito dai regolari tempi della religione della Natura, tutto è senza rischi. D’improvviso il personale in costume che sta spazzando il piazzale e ricomponendo i fili d’erba piegati dal vento nelle auole del tempio si arresta, si dirige verso il tempio principale, dove un bianco sacerdote sta colpendo con assoluta precisione il centro d’un enorme tamburo votivo, che pare voler scandire persino il tempo della città megagalattica che cresce fuori dal perimetro del tempio. La cerimonia dura lo spazio di pochi minuti, ma sufficienti per determinare la formale continuazione della vita corrente.

Come sempre, sono i tetti a dare il senso della bellezza, con le loro studiatissime inclinazioni, le improvvise sfuriate di energia celeste e le straordinarie attrattive terrestri mescolate nello spazio di qualche tegola cilindrica. I tetti, o della nipponica voglia di sfiorare il cielo.

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