Mentre Giorgio Napolitano visita la Turchia, ripenso alla Yerebatan Sarnici, la "basilica-cisterna" costruita dai Romani, che pare una metafora di tanta politica internazionale, che in superficie ha una dimensione trasparente, ma sotto terra vive in un'altra dimensione.
Istanbul. Una delle sorprese più straordinarie che sia in questa città già di per sé straordinaria, la trovo sottoterra, a due passi da Haghia Sofia. È la Yerebatan Sarnici, meglio conosciuta come “Basilica cisterna”. Si tratta di un’ampia cisterna bizantina, la più imponente della città, il cui aspetto ricorda più un palazzo che un sito destinato a raccogliere l’acqua. Costruita da Costantino, fu poi ampliata per raccogliere l’acqua proveniente dagli acquedotti di Adriano e di Valente. In origine la cisterna era sorretta da 336 colonne alte otto metri, suddivise in 12 file di 28 elementi ciascuna, quasi tutte ornate con capitelli corinzi del V secolo, e sostenenti delle volte di mattoni a spina di pesce, che si riflettono nelle ferme acque sottostanti.
Scendo i gradini scivolosi che portano alla cisterna. Gli occhiali si appannano per l’umidità, così come l’obiettivo della macchina fotografica. Una sapiente musica classica turca giunge alle orecchie, rimbalzando sulle superfici marmoree, invitandomi a una deambulazione che promette grandi sorprese. Ma la prima visione è di quelle che non dimenticherò più. Avevo già visto delle fotografie del luogo, ma non vi coglievo una grande differenza rispetto alle mille basiliche già viste in giro per il mondo. La realtà, invece, sconvolge ovviamente la vista, ma anche il tatto (per le superfici umide), l’udito (per la musica), l’olfatto (per l’odore delle muffe) e persino il gusto (per l’aria pregna di acqua). Perché nascondere una tale bellezza sotto terra? Mi dico che proprio questo nascondimento ha permesso la sua conservazione.
Mi avventuro nelle passerelle sapientemente attrezzate tra le colonne, per lasciar scorgere le diverse prospettive. Poco alla volta, nella semioscurità, mi accorgo che ogni colonna è diversa dall’altra, ogni capitello è assolutamente originale, ogni decorazione è unica. Il fatto è che la provenienza delle colonne era già varia, era tutto frutto di un recupero da templi e palazzi antichi, più antichi. E ciò conferisce all’insieme quella bellezza che viene solo dall’unicità dei manufatti, dalla similitudine che non diventa mai uniformità. Qui nessuno stampo è stato usato, qui non c’è stato spazio per i narcisismi delle simmetrie assolute.
I basamenti di un paio di colonne, che rappresentano delle meduse capovolte o reclinate, paiono quasi un’intrusione dell’arte figurativa in qualcosa che ha assolutamente bisogno di non essere figurativo, per via delle prospettive e delle geometricità dell’ambiente sotterraneo. Eppure anch’esse ricordano che in questo luogo celato alla vista dei passanti non si può dimenticare l’elemento umano e nello stesso tempo il suo creatore divino, non si può dimenticare che l’acqua è l’elemento essenziale di ogni uomo e della sua vita. Ma mi conforta che l’uomo sia stato capace di creare una tale bellezza e di nasconderla, quasi che la bellezza sia qualcosa che di per sé ha valore, anche se nessuno mai la vede. Anche Dio, che è bellezza, nessuno mai lo vede in faccia.
1 commento:
Woow!!!
That is great.
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