mercoledì 16 dicembre 2009

Inquinatissima Karachi


Mentre a Copenaghen si fatica a trovare un accordo per la salvaguardia del pianeta, ripenso alle grandi metropoli mondiali, in cui si vive costantemente sotto una cappa di inquinamento pericolosa e nauseante. Karachi è una di queste città. Reportage, 2005.

In Occidente viene sconsigliato di passare da Karachi, per via dei fondamentalisti musulmani, che ogni tanto piazzano qualche bomba davanti alle chiese cristiane, ma anche nelle loro faide intestine tra sunniti (75 per cento) e sciiti (25 per cento), e che hanno tra l’altro rapito e fatto fuori il giornalista Daniel Pearl, ebreo e curioso, forse troppo, reso celebre per l’inchiesta romanzata, o per il romanzo d’inchiesta, di BHL sulla sua scomparsa.

Eppure, debbo essere sincero, l’impatto con la città è molto meno traumatico di quanto m’aspettassi, sia perché già abituato ai convulsi sommovimenti metropolitani delle città del subcontinente indiano (Mumbai è molto più violenta nel presentarsi allo straniero, coi suoi 7 milioni di baraccati o senzatetto), sia perché l’estetica musulmana qui è molto limitata rispetto alle città arabe (qui le moschee non si vedono, avendo tutte affittato il fronte sulla strada a negozi d’ogni genere).

Il traffico è ovviamente estremamente convulso, attraversato da quegli imperatori della strada che sono gli autisti dei coloratissimi pullman di linea, decorati in maniera assolutamente incredibile, tutti simili eppure tutti diversissimi, con le più originali decorazioni lacustri, marittime o montanare, in ogni caso naturalistiche.

Gli uomini colpiscono per le loro barbe e i loro capelli molto spesso colorati di rosso, mentre le donne appaiono in stragrande maggioranza velate, ma in modo molto diverso, molto spesso quasi per negligenza, anche se non mancano qua e là inquietanti burqua neri. Le bancarelle, quasi sempre dei carretti trasportanti a trazione umana, vendono ogni sorta di mercanzia, conquistando ora dopo ora qualche suolo stradale supplementare, riducendo nel contempo lo spazio a disposizione della circolazione, automobilistica, animale o umana che sia.

Colpiscono l’occhio del fotografo l’assenza di stranieri e turisti; le abitazioni esternamente poco curate, se non addirittura cadenti, attraversate e segmentate da cavi elettrici a volte incredibilmente aggrovigliati; il velo vischioso e olezzante dell’inquinamento da diossido di carbonio, alimentato in particolare dagli autobus policromi e dai risciò altrettanto policromi e ancora più arditi nella guida; l’incredibile inquinamento acustico, provocato dal linguaggio della guida e dal vocabolario dei singoli piloti; i cartelloni stradali spropositati nelle dimensioni, anche se più casti nella loro sguaiatezza; la presenza di nugoli di biciclette e motorette, allineate in parcheggi spontanei ai due bordi della carreggiata; il reciproco scavalcarsi delle architetture d’origini britannica e locale, spesso con risultati mostruosi, altre più gradevoli…

Nessun commento: