venerdì 12 febbraio 2010

Quegli occhi in comunione coi miei


Mi scrive Paolo R. dall'Umbria: «Sappi che la foto della bimba di Kon Tum è sul desktop del mio pc, e ogni volta che entro in quegli occhi (inevitabile) tocco l'umanità lontana e tocco pure il Dio Padre anche degli sperduti umani degli altipiani».



Confesso di essermi in qualche modo innamorato della bimba, di cui non conosco nemmeno il nome, incontrata in un villaggio dei montagnard di Kon Tum, negli altipiani del Sud, in Vietnam. Ormai in ogni reportage le foto scattate sono migliaia, per via della tecnologia digitale che consente di scattare foto a raffica e poi di cancellare quelle che non piacciono. Così anche alla piccola di Kon Tum ho scattato una ventina di foto, avvicinandomi a quattro zampe, per essere alla sua altezza, sulla palafitta nella quale abita la sua famiglia. La madre mi osservava (aggiungo qui sotto la sua foto), assai divertita.

La conversazione non c'è stata per via della lingua (la mia guida era lontana in quel momento), ma il fatto che l'avvicinamento si sia concluso con un dialogo muto con la piccola - che s'è messa ad odorare il profumo della mia mano - mi ha veramente commosso. Era un rapporto non banale, un gesto ancestrale, una comunione al di là del linguaggio verbale. Esistenziale, direi.

Non mi stupisco, allora, che la foto in questione sia riuscita in fondo bene: serve sempre, anche col digitale, un rapporto serio e profondo per arrivare a scattare foto belle che poi colpiscano chi l'osserva. Non basta la tecnica, non basta la migliore Nikon (la mia è una reflex Nikon D60, quindi assai modesta ed economica), non basta la voglia di scoop: serve empatia, serve comunione. Come sempre. Il reportage, scritto e/o fotografico che sia, è una tecnica giornalistica di comunione.


1 commento:

Fausto Leali ha detto...

"Il reportage é una tecnica giornalistica di comunione"... che bella questa frase, che bello questo sguardo dell'anima di chi racconta i fatti, di chi si fa capace di cogliere il volto del Mistero dentro gli occhi di chi incontra lungo la sua strada di cronista.

Fossero tutti i così i "giornalisti".
Perché é di giornali dell'anima che abbiamo bisogno tutti quanti.

Grazie, un abbraccio