Ancora un estratto dal mio libro "Sul largo confine. Storie di cristiani nel Caucaso": la visita ai piloti di tank ustionati dopo la guerra lampo dell'agosto 2008.
Un deputato, che vuole mantenere l’anonimato, mi accompagna poi a visitare all’ospedale dei grandi ustionati i piloti dei carro armati georgiani feriti. Ma prima vuole dirmi, con una certa solennità, che «la Georgia non merita il fantoccio di presidente che risponde al nome di Mikhail Saakashvili! L’esercito georgiano era stato fornito di molte armi, poi però vendute in giro per il mondo. È uno sconsiderato, il presidente. In Parlamento non c’è una vera opposizione, ma le cose, vedrà, cambieranno rapidamente».
Al Jazeera s’è interessata al Centro grandi ustionati di Tbilisi, sulle alture orientali della città. Qui è ricoverata una bambina di Gori gravemente ustionata, che però è stata salvata. Il direttore Besik Jashvili mi permette d’incontrare alcuni militari rimasti feriti. Fanno impressione le ferite rosse e le medicazioni gialle. Tra di loro c’è Erekle Ioladze, pilota di tank, unico sopravvissuto all’incendio del suo mezzo: i due colleghi sono bruciati vivi. Ne avrà per un anno di cure e trapianti. Riesce comunque a raccontarmi l’avanzata verso Tskhinvali e la controffensiva russa.
Cerco di fargli ammettere che l’attacco è stato dapprima georgiano… Dice e non dice, confonde le date, confessa di non sapere perché fossero arrivati nella capitale ossetina meridionale: «Non voglio problemi», si scusa. E prende a raccontarmi degli atti di eroismo dei soldati georgiani per salvare i loro commilitoni e le popolazioni civili. Ogni tanto si lamenta. E così anche Alexis Chitadze, autista di camion. E Jatsenko Vasiliev, ucraino d’origine, pilota di caccia, colpito sul suo aereo a Marnaouli, mentre ancora si stava preparando a decollare. I Mig russi sono stati più rapidi: «Tutto assolutamente inatteso», mi dice.
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