2 giugno 2008. Helsinki, la città nel grigio.
Caffè-ristorante Kappeli, di nuovo, sulla celebre Esplanadi, costruito dall’architetto Dalström nel 1867. È una vera istituzione per Helsinki e per i suoi abitanti. Non tanto per la sua gradevole architettura, giocata tra legno e ferro, un po’ liberty, con qualche piccola sbavatura romantica, caratterizzata da amplissime vetrate. Nemmeno solo per la sua posizione dinanzi al porto di Kauppatori e alla statua della Fanciulla del mare, quanto per l’atmosfera leggermente rétro che si respira seduti sui divani e sulle sedie foderati di velluto bordeau un po’ andante, con le lucette art nouveau sempre accese, le statue bronzee piazzate al posto giusto per ingentilire le sale, le librerie sempre a disposizione dei clienti negli angoli più protetti, il tempo che qui è più generoso che altrove. In una giornata uggiosa – normalità a Helsinki, dovevo pur provarla in questa primavera millésime 2008 veramente splendente – non c’è luogo migliore per lasciar morire un soggiorno inondato dal sole e dai baci metaforici degli uccelli e delle donne finlandesi (attenzione a non sbagliare, i primi «pungono», le seconde «mordono», come dice un vecchio proverbio sami).Ancora un giro al mercatino dinanzi al porto di Kauppatori, tra i banchetti che vendono fragole e lamponi, e tra deliziose venditrici di altrettanto deliziose ceramiche contemporanee; mentre commercianti non certo finlandesi s’appropriano, una dopo l’altra, delle vendite di souvenir “made in China”, tutto il mondo è paese. Le friggitorie oggi debbono combattere strenuamente coi gabbiani dall’insolenza assoluta. Nella vecchia hall del mercato, invece, si vende carne di renna seccata e salmone affumicato a freddo o a caldo, piatti nazionali e orgoglio di un popolo che ha saputo issarsi ai vertici – o quasi – del reddito pro capite dell’Unione europea. La Finlandia, ovviamente, non è solo renna e salmone, laghi e cottage. È anche Nokia e Raikkonen, umanità e tecnologia che si fondono. Il che, di questi tempi, non è poco.
Tutto si paga, è ovvio, anche a Helsinki. Ma qui, forse un po’ di più, per via del costo della vita, della natura del popolo, ma anche del trionfo del capitalismo maturato poco alla volta, per reazione al minaccioso comunismo sovietico. Che era così vicino così lontano. Forse c’entra pure un materialismo assai pronunciato. Ho conosciuto, giusto per fare un esempio, una donna sulla cinquantina, al cento per cento finlandese. Vive in una città-satellite della capitale, in un’abitazione medioborghese. Ha organizzato tutta la sua vita attorno a ferrei riti laici e atei: dal passeggino mattutino e serale assieme alla sua cagnolina bellina bellina, al lavaggio dell’auto non appena qualche spolverata di polline la ricopre; dal giardinaggio settimanale, con dovizia di spese e invenzioni banali, al bisogno di avere il frigorifero sempre pieno, anche se poi tre quarti del cibo finiscono gettati agli animali o nella spazzatura; dalle partite a golf, due volte al mese costa troppo, alla colazione domenicale sul bar del molo, che faccia bello o tiri vento; persino la programmazione di un viaggio esotico all’anno, deciso con almeno ventiquattro mesi di anticipo…
Una vita drammaticamente vuota, senza il minimo spazio non dico per Dio, ma per lo spirito. O per l’altro. Niente funzioni religiose – salvo qualche festa folkloristica con vaghe reminiscenze religiose, o forse piuttosto sciamaniche –, niente letture, salvo quelle dei giornali gratuiti scandalistici o di novità tecnologiche, niente musica decente, niente Sibelius, niente teatri-mostre-conferenze, nemmeno una sbronzatina che ogni tanto possa emancipare dall’ossessiva routine quotidiana. Sembra impossibile una tal vita. Eppure questa è l’esistenza della maggioranza dei finlandesi, come della maggioranza degli europei. Anche degli italiani. Forse aveva ragione Giovanni Paolo II: «L’Europa – diceva – ormai ha bisogno di una nuova evangelizzazione».
Ci sono di quei momenti in cui vorresti una cosa sola: startene isolato, sparire da quella parte preponderante della faccia della Terra dove si trovano altri umani deambulanti. Ma spesso sono proprio questi momenti di tedio – non riesco a definirli altrimenti – che possono riservare le sorprese più apprezzabili e apprezzate. Così m’accade dopo l’affascinante ma stancante visita al lago di Tuusula, alle case di tanti grandi artisti finlandesi. La nostra guida vuole a tutti i costi portarci a visitare – «dieci minuti, solo una goccia del vostro fiume di tempo», dice proprio così – un luogo appartato nella grande area di Helsinki, il sito chiamato Hvitträsk. Un nome quasi impossibile da pronunciare, ma in questo, almeno, interessante.
Che la cultura si concentri in certi luoghi, e non in altri, ha dello straordinario e del paradossale. Perché lì e non altrove, magari dove le condizioni parrebbero migliori? Perché certi artisti vi si sentono attratti ed altri invece no? Perché certi luoghi “ispirano” ed altri deprimono la creatività? Le risposte, ovviamente, sarebbero molteplici e in ogni caso precarie. Sta di fatto che, attorno a questo oblungo lago di Tuusula, una trentina di chilometri a nord di Helsinki, appena oltre l’aeroporto, si sono concentrati nei decenni numerosi artisti finlandesi, di diverse arti: pittura, letteratura, scultura, musica. Traevano ispirazione dal paesaggio più finlandese che esista, quello lacustre e forestale. Alle porte della capitale – ma all’inizio del secolo scorso Helsinki era distante non poco –, per poter respirare comunque ogni tanto il clima artistico della città, ma cercando nel contempo la vita isolata, tranquilla, al riparo dalle inquietudini politiche e belliche, concentrandosi sulla ricerca del «silenzio assoluto», come diceva Sibelius…
Mons. Giovanni Martinelli, francescano, è vescovo cattolico a Tripoli, lui, figlio di immigrati abruzzesi ancora negli anni Trenta. È uomo impegnato con tutto sé stesso nel dialogo con i diversi attori presenti sul terreno. La difficile situazione sociale e religiosa libica non gli fa paura, pur avendo spesso molta più coscienza della complessità della situazione rispetto a chi vive nella riva settentrionale del Mediterraneo. La sua comunità – da anni crescente, si può dire ogni giorno di più – è in pratica composta al 100 per cento da immigrati, in questi ultimi tempi soprattutto provenienti dall’Africa sub-sahariana. Gente che giunge in Libia nella speranza di poter poi proseguire in qualche modo il viaggio verso l’Europa. Ma non mancano numerosi immigrati provenienti da alcuni Paesi asiatici, in particolare le Filippine.


























Lo stallo nella regione più occidentale della Cina, lo Xinjiang, è assai complicato. La precipitosa marcia indietro del presidente Hu Jintao, che ha rinunciato al G8 de L'Aquila per riprendere sotto controllo la situazione, dicono la gravità della situazione. Il fatto è che Tibet e Xinjiang, considerati da Pechino territori indispensabili per l'integrità del territorio cinese nonostante siano i territori più vasti ma meno popolati del Paese, non hanno ancora dato prova di un'integrazione voluta ma forse imposta troppo violentemente dalle autorità cinesi. Tibetani e uyguri non hanno perso le loro specificità. Tutt'altro. Nonostante la massicia immigrazione degli "han", i veri cinesi. Nonostante il governo centrale abbia investito enormi fondi statali per le infrastrutture delle due regioni, elevando quindi indiscutibilmente il livello di vita delle popolazioni locali.
Vicino alla chiesa cattolica c’è una delle moschee più originali che abbia mai visto: sembra un tempio buddhista, o più ancora confuciano. L’architettura delle costruzioni che formano un cortile – la più antica, la moschea vera e propria sembra avere poco più di due secoli – è assolutamente non differenziabile da altri luoghi di culto delle varie religioni cinesi, se non fosse per la modestissima mezzaluna che si nota sul tetto, sullo sfondo di una serie di recentissimi grattacieli che sembrano far corona (o minacciare, dipende dai punti di vista) l’insieme del complesso della moschea.
Mi presenti la sua comunità musulmana.
Cosa risponde a coloro che dicono che l’Islam porta al terrorismo, alla violenza e alla sopraffazione?







