martedì 28 luglio 2009

L’immigrazione vista dalla Libia

Intervista con mons. Giovanni Martinelli, vicario apostolico a Tripoli. «Lavorare evangelicamente per risolvere i problemi drammatici di questa gente».

Mons. Giovanni Martinelli, francescano, è vescovo cattolico a Tripoli, lui, figlio di immigrati abruzzesi ancora negli anni Trenta. È uomo impegnato con tutto sé stesso nel dialogo con i diversi attori presenti sul terreno. La difficile situazione sociale e religiosa libica non gli fa paura, pur avendo spesso molta più coscienza della complessità della situazione rispetto a chi vive nella riva settentrionale del Mediterraneo. La sua comunità – da anni crescente, si può dire ogni giorno di più – è in pratica composta al 100 per cento da immigrati, in questi ultimi tempi soprattutto provenienti dall’Africa sub-sahariana. Gente che giunge in Libia nella speranza di poter poi proseguire in qualche modo il viaggio verso l’Europa. Ma non mancano numerosi immigrati provenienti da alcuni Paesi asiatici, in particolare le Filippine.

Le sue parole sulla faccenda delle carrette del mare respinte in mare verso sud sono schiette: «Gli immigrati rigettati verso le coste libiche sono dei poveracci, dei miserabili. Bisogna saperlo chiaramente. Tra di loro non ci sono banditi o delinquenti professionali, quelli prendono altre strade più comode per giungere in Europa, che sia chiaro. I libici cercano di accoglierli quando ritornano sulle nostre rive, ma i mezzi sono assolutamente insufficienti per riceverli con un minimo di decenza. Qualcosa si sta muovendo, l’Unhcr sta svolgendo un’attività encomiabile, ma bisogna fare di più, soprattutto a livello internazionale».

Mons. Martinelli vede una doppia valenza nelle relazioni italo-libiche: «Da una parte la cooperazione economica sta andando avanti e in modo anche positivo: in Libia si cominciano a vedere dei cantieri, anche grandi, aperti dalle nostre imprese. D’altra parte questa politica con gli immigrati non è condivisibile, per via del rispetto dei diritti umani verso questa gente che non ha documenti, che fugge situazioni drammatiche, che non ha nulla da perdere. Penso, per tutti, agli eritrei, alle donne eritree in particolare, che cercano di “salvarsi” in Europa. Non possono più tornare nel loro Paese. Sono veramente rifugiati politici, non si dovrebbe rimandare quaggiù».

L’azione della Chiesa cattolica va comunque avanti, non solo nell’assistenza sanitaria e giuridica data ai tanti immigrati clandestini provenienti dal sud, ma anche nell’assistenza ai carcerati: «Almeno una volta al mese, ma di solito più frequentemente, entriamo nelle prigioni libiche per incontrare i cattolici e i cristiani che sono stati incarcerati per i più vari motivi, molto spesso solo per avere commesso reati “di sopravvivenza” e non certo “di cattiveria”. Li raduniamo nel cortile, d’accordo con le autorità carcerarie, e recitiamo qualche liturgia, li ascoltiamo, li confessiamo. È un’azione ben vista anche dalle autorità. Solo per Natale abbiamo distribuito mille coperte nelle prigioni di Tripoli».

L’atteggiamento della popolazione e delle autorità non è a priori contraria alla Chiesa cattolica, tiene a precisare mons. Martinelli: «Bisogna sempre tenere presente che un atteggiamento che dà estremamente fastidio in questi Paesi nordafricani è il proselitismo. Per varie ragioni, che affondano ovviamente nella ferita coloniale non ancora rimarginata, non si tollera che qualcuno pretenda di imporre una fede diversa dall’Islam alla gente. La nostra presenza impegnata con i cristiani è aperta al dialogo e all'amicizia coi libici, che ci rispettano e che sanno bene che non ci sono intenzioni proselitistiche nella nostra azione. C'è invece disinteresse e cooperazione al servizio del Paese».

2 commenti:

Anonimo ha detto...

imparato molto

Anonimo ha detto...

Un carissimo saluto al Mons. Giovanni Martinelli, che ho conosciuto da quando ero piccolo, come un grande uomo di fede e tolleranza.
Amir