martedì 14 luglio 2009

Attacchi alle chiese di Baghdad

Anche la sua è stata attaccata, questa volta, il 13 luglio 2009. Un luogo di culto modesto, quello di mons. Salomone Warduni, vescovo ausiliare dei caldei per Baghdad. Quattro i morti.

Vi ero stato nel maggio 2003, nell'immediato dopoguerra. Ecco quanto avevo scritto dopo quella visita: «Warduni sta celebrando la messa vespertina, assieme alla comunità parrocchiale, presenti un centinaio di persone. Colpisce il raccoglimento dell’assemblea, la sua straordinaria capacità di attenzione per quanto si svolge in una liturgia che, probabilmente, è più simile a quella dei primi secoli del cristianesimo che non a quella della Chiesa cattolica romana. Riconosco l’edificio di culto, già visto in tivù ai tempi della quaresima, trascorsa dai cristiani di Baghdad come in tempi di guerra: la prima parte in attesa del conflitto e la seconda sotto le bombe (ma la Pasqua è caduta al termine delle ostilità). Un’architettura povera e recente, arredata con decori sia orientali, sia legati all’iconografia cattolica».

Nell'intervista che era seguita, Warduni mi aveva detto cose che oggi, a sei anni di distanza, suonano ancora terribilmente vere: «Gli statunitensi sono arrivati, secondo quanto dicono i loro dirigenti, per liberarci, per mettere la pace nella nostra nazione. Ma adesso noi viviamo nell’insicurezza. Ho saputo che ieri, davanti al patriarcato degli assiri, due o tre giovani sono scesi da una macchina, hanno fermato il patriarca e gli hanno strappato la croce d’oro che portava al collo. È per questo che ora porto anch’io una croce di legno… Si sente raccontare di banditi che obbligano i proprietari a scendere dalle proprie macchine per impossessarsene, se non li ammazzano direttamente. Poi vendono le auto a gente che va verso il nord, e da lì verso l’Iran o la Turchia…».

Ma le sue non erano state solo geremiadi: «Noi guardiamo al futuro, al di là delle sofferenze che si patiranno ancora a lungo, specie qui a Baghdad. Abbiamo fatto sapere a tutti i responsabili – siano essi curdi, arabi sciiti e sunniti, o americani – che noi desideriamo la pace e l’unità del popolo, che in primo luogo si deve mettere ordine nelle strade, che bisogna costituire un governo degli iracheni per gli iracheni, perché è già un gran miracolo che una nazione, grande come l’Iraq, in questa situazione pur tragica, non sia ancora esplosa».



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