Baghdad. Ci sono viaggi rassicuranti, anche nel pericolo. Ed altri perigliosi, anche nella serenità. Andata e ritorno. Andata semplice.
Damasco. Nella discesa verso il porto dei grandi uccelli di metallo, dopo un viaggio sopra il mare d’ovatta, la turbolenza scuote le membra, prova la psiche. È il pegno da pagare per toccare terra, per far sì che la realtà riprenda il sopravvento sull’immaginario, sul sogno. Turbolenza, cortina del possibile, accettazione del qui e ora. Benedizione, cioè dizione del bene, che è solo realtà, mai sogno.
Shanghai. Quando pensi di essere un Dio, viaggia in aereo. L’alterigia del gonfiamento superbo lascia spazio alla tisi di un granello di sabbia in balia di una vite, di un bullone, di uno spinotto, di un file. Finitudine e tecnologia.
Venezia. Ristoranti esotici come parvenza di viaggi lontani. Spesso gli odori fanno viaggiare più dei treni e delle navi.
Lasha. Un viaggio non è mai d’affari per chi sa guardare le cose e le persone.
Hong Kong. Spesso ci si sobbarcano lunghissimi viaggi semplicemente per pochi minuti di impegno nel luogo di destinazione. Solennità necessaria di ogni attimo di lavoro.
Roma. Viaggio in metropolitana: Numidio Quadrato, Arco di Costantino, Giulio Agricola. Scavi di archeologia abortita.
Bogotà. Quando non finisci un viaggio che già ne progetti un altro, qualcosa s’è rotto nella tua esistenza. Pensi di dover vivere sempre in un “altrove”. Dimenticando che il luogo per eccellenza della vita è il più profondo del proprio cuore.
Douala. Decine di taccuini, ormai più di cento, viaggi d’ogni genere e grandi orizzonti. Ma non riesco ancora a capire se la mia vita è una fuga o un’abdicazione.
Lisbona. La passione del viaggio non è che una sindrome, quella dell’irriducibile tensione umana per l’altrove. Impossibile resistere a tale patologia, che colpisce più o meno la metà dell’umanità. L’altra metà è al contrario colpita dalla fobia per l’altrove: la sola idea di lasciare casa propria richiama sentimenti di sangue sudore lacrime. A guardar bene, però, la prima metà coltiva in sé impossibili orizzonti di stanzialità, mentre la seconda ripete ad libitum la follia itinerante della mente d’un Salgari. Chi sta e chi viaggia?
Roma. Il fascino dello straniero è troppo spesso semplice nostalgia di viaggio, nostalgia di un impossibile altrove.
Tunisi. Il ritorno è come una catarsi dalla quale il viaggiatore non può sottrarsi. La catarsi è il ritorno e non il viaggio di andata, anche se si ha l’impressione che sia il contrario. Il fatto è che nel viaggio di andata gioca l’impressione emotiva dell’abbandono della quotidianità, mentre al ritorno prevale il sentimento del ritrovare i propri punti di riferimento. All’andata non è la “nuova realtà” che agisce, ma la “nuova virtualità”. Al ritorno, invece, la “realtà vissuta” subisce il filtro della “realtà possibile”. E questa è la vera catarsi. Che agisce sulla realtà, e non sulla virtualità.
Atene. La prospettiva di un viaggio pericoloso non suscita le paure future, quanto risveglia i timori ancestrali di una fine sacrificale.
Chengdu. Scalo all'aeroporto di Chengdu. Scoprire nuovi mondi è sempre elettrizzante. Come mi è accaduto in Tibet, da cui provengo, e come accadrà nello Xinijang, dove mi sto recando. Si relativizzano le proprie culture, i propri punti fermi, persino le forme della propra fede. E ci si scopre nel contempo più uomini-mondo e più uomini-particolari, un puntino nell’universo e l’universo stesso. Solo lo sguardo posto su Colui che s’è fatto nulla, infinita piccolezza senza cultura, può dar senso all’umanità in cerca di senso. E allora si può provare l’ebbrezza dell’universalità, di quelle grandi linee paradossali che fanno la persona umana: la ricerca di senso e di Dio, la socialità, l’amore.
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