
Il paradosso, che ora emerge con dovizia di particolari anche dalle agenzie cinesi legate al regime (come Xinhuanet) è che la scintilla che ha provocato il bagno di sangue, con la morte di centinaia di manifestanti di parte uyguri e di numerosi han vittime delle violenze del gruppo etnico di originie turca, era un bluff. Lo stupro di una giovane han (Huang Cuilian, di Guangdong, 19 anni) da parte dui due giovani uyguri in una ditta di giocattoli non è mai avvenuto. Ma un equivoco (forse ricercato) dovuto alle grida di questa giovane che si era sbagliata di porta, fomentato a dire il vero da una forte tensione interetnica tra i dipendenti uyguri e han appunto nella ditta di giocattoli di Guangdong, ha portato un giovane a pubblicare un post su www.sg169.com il 16 giugno che titolava "Sei ragazzi dello Xinjiang hanno violentato due giovani innocenti nella fabbrica di giocattoli Xuri". Apriti cielo!
Ciò mi sembra dover portare a due riflessioni. Prima: gli scontri di Urumqi sono il risultato di una fortissima tensione interetnica irrisolta nello Xinjiang, che ha enormi riflessi politici ma non religiosi, se è vero che una falsa e in fondo piccola notizia ha dato fuoco alle polveri. Seconda riflessione: le potenzialità del web hanno una valenza doppia: possono fomentare la legittima rivolta di un popolo alle prese con un regime totalitario (vedi le manifestazioni di Teheran), ma possono anche scatenare violenze inaudite e in fondo immotivate. Bisogna riflettere sulle enormi potenzialità della Rete, ma anche sulle sue pericolose derive. Un dibattito che la società civile ha intrapreso da tempo e che va portato avanti con coraggio (vedi ad esempio NetOne e RsF).
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