In una recente conferenza pubblica a Bellaria, m’è stata posta una domanda: «Prevalgono nei media il pessimismo e la rassegnazione. Che effetto potrebbe avere invece la divulgazione di notizie dal forte contenuto positivo?».

Il fatto è, però, che noi stessi giornalisti siamo impreparati a questo compito: le scuole di giornalismo non contemplano di solito materie come “tecnica della buona notizia” o “fenomenologia delle good news”. E così tanti colleghi si ritrovano non solo a far fatica a trovare della “cronaca bianca”, come viene anche chiamata questa branca negletta del giornalismo, in opposizione a quella nera, ma addirittura non sanno bene che cosa sia una “buona notizia”. Un servizio pubblico che funziona lo è? Un aborto evitato? Una scoperta scientifica che permette di curare una malattia prima incurabile? Un imprenditore che non paga il pizzo? Un politico che evita di firmare una legge che lo avvantaggia? Una pena di morte non eseguita? E via dicendo.
Di per sé tutte queste sono buone notizie, e ritengo lo siano per la stragrande maggioranza dei giornalisti. Ma come raccontarle? Ho la fortuna di dirigere Città nuova, una rivista specializzata in buone notizie, ma anche in cattive notizie raccontate con spirito costruttivo, mai distruttivo. Ebbene, vi assicuro che gli sforzi che mettiamo in atto per essere credibili non sono da poco. Serve tempo, fantasia e costanza. Ma alla fine ci si riesce. Proporrei perciò di istituire nei corsi di giornalismo un corso intitolato “Storia e tecnica del giornalismo in positivo”. Vediamo se qualche decano mi ascolterà.
(pubblicato sul sito di NetOne, il 6 maggio 2009)
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